Contratti Separati…in casa

Cgil Cisl e Uil tornano unite nel Commercio e servizi

Dopo la tempesta ecco il tempo delle firme. Dopo le promesse di ‘lotta’ contro i contratti separati, le dichiarazioni contro il nuovo modello contrattuale, le parole dei sindacalisti Cgil che definivano ‘inaccettabili’ le norme firmate dagli altri due sindacati confederali, spunta il sereno. A settembre è stato firmato il contratto degli alimentaristi, che recepisce gran parte delle indicazioni del modello contrattuale non sottoscritto dalla Cgil lo scorso 23 gennaio. Anzi la durata del contratto non è triennale ma addirittura di 40 mesi. La stessa ‘melina’ fatta di molti annunci clamorosi e poca sostanza è stata utilizzata dalla Cgil per il caso Alitalia e nel rinnovo del contratto per i dipendenti degli Enti Locali. L’ultima barriera da sfondare è quella dei metalmeccanici e poi le difese saranno davvero cadute tutte.
Si sa, lo spettacolo deve continuare, specie nel settore chiave della nostra economia, potente fonte di finanziamenti, voti, introiti di vario tipo: i Servizi e il Commercio. E così anche la categoria del commercio Cgil (Filcams) lo scorso 23.6.2009 ha sottoscritto il contratto firmato da Cisl e Uil un anno prima il 18.7.2008, e definito per mesi ‘scellerato’ dai suoi dirigenti. Una vicenda passata sotto una cortina di silenzio comprensibile. Gli scioperi indetti dalla Filcams contro quel contratto (circa 16 ore di retribuzione persa dai lavoratori in busta paga) si erano risolti in una mezza sconfitta: pochi supermercati chiusi, perdita di credibilità dei delegati Cgil nei super, pressioni della segreteria nazionale e dei partiti del sedicente centrosinistra a firmare ‘uniti’ con Cisl e Uil e il clamoroso dietrofront finale.

Del resto chi avrebbe potuto fare pubblicità a una tale retromarcia? I media di proprietà di fondi e società che fanno affari con grande distribuzione, costruzione di centri commerciali, conversione di aree agricole in commerciali? Oppure quelli sovvenzionati dai sindacati confederali?

Eppure il contratto del Commercio riguarda centinaia di migliaia di lavoratori, l’ISTAT parla di 2,4 milioni di persone che dipendono dalle sue disposizioni. Senza contare le loro famiglie. Cassieri e magazzinieri dei supermercati, certo, ma anche commessi, giornalisti, telefonisti dei call center, venditori, spazzini, donne di servizio, tecnici informatici. Tutti finiti dentro il pentolone bollente del CCNL del Commercio e dei Servizi negli ultimi 20 anni di scomposizione delle categorie professionali e polverizzazione del lavoro. Ma come un giornalista assunto con il contratto di un cassiere? O un venditore con quello di un magazziniere? E’ il liberismo anime belle, è la globalizzazione, è l’Europa a chiedercelo. O vuoi per caso rimanere indietro? Ormai certi discorsi sono diventati una eco indistinta che rimbalza tra articoli, telegiornali e show televisivi.
Ma i dipendenti assunti con il Contratto del Commercio non sono soli. Le norme che si applicano agli interinali, al lavoro a chiamata, a molti dei contratti a progetto e co.co.co, moltiplicatesi come allergie a maggio, sono stati disegnati dai legislatori e dai sindacati, sulla falsa riga di quel contratto. L’impianto legislativo del Commercio infatti, ben si adatta a quelli che fino a 5 anni fa venivano entusiasticamente definiti ‘i nuovi lavori’, ‘la flessibilità buona’, quella che doveva far emergere il lavoro nero e invece ha prodotto i danni economici e sociali che tutti noi abbiamo sotto gli occhi.
Oggi, calato il sipario sulle promesse della ‘new economy’, sbugiardati i cantori dei ‘new job’ che spesso si rivelavano dei ‘Mc job’, per molti il Contratto del Commercio è rimasto l’unico argine al dilagare del lavoro nero, degli straordinari non retribuiti, dei diritti negati.
Il Commercio è stato il primo settore ‘flessibile’ dove si sono sperimentate prima e applicate poi, le nuove forme in cui si declina il lavoro da un ventennio a oggi. Domeniche e festivi lavorativi obbligatori con maggiorazioni orarie decurtate, allungamento dell’orario di lavoro per gli apprendisti, part time verticali, orizzontali, pause caffè e pipì ridotte al lumicino. Norme considerate da molti come necessarie, il successo della concertazione, viste come un progresso del ‘nuovo’ mondo del lavoro, mentre da altri come una erosione dei diritti dei lavoratori, una sottomissione totale non solo del sindacato ma dell’uomo e della sua qualità di vita ai ritmi del consumo. Più lavoro certo, anche se i limiti all’assunzione di precari, cooperative e appaltati nelle aziende del Commercio sono saltati da anni, ma anche difficoltà nella gestione dei carichi familiari (notturni e festivi lavorativi per genitori), salari più bassi (esplosione dei part time a straordinario ‘obbligato’), attività sindacale dei lavoratori pesantemente osteggiata (come il caso del vademecum antisciopero usato il mese scorso da Carrefour evidenzia in modo lampante).
Le giustificazioni del dietro front della Cgil stanno nelle dichiarazioni di molti suoi dirigenti, primo tra tutti il nuovo segretario Filcams Martini, che si sono affrettati a smentire la retromarcia: ‘Quale retromarcia? Volevamo solo avere il tempo di sottoporre l’accordo al voto vincolante dei lavoratori’. Non sono dello stesso avviso numerosi delegati RSU della Cgil, e molti blog di lavoratori del Commercio. Prima si sono sbattuti per promuovere gli scioperi e poi si sono dovuti rimangiare la parola spesa con i colleghi, che hanno sprecato sul campo di battaglia ben 16 ore in busta paga.
Certo la crisi può giustificare un atteggiamento del genere, la Cgil ha mostrato grande ‘senso di responsabilità’ ma le difficoltà rimangono tutte specie per i nuovi assunti e gli apprendisti, a cui è stato addirittura aumentato l’orario di lavoro a parità di salario con i colleghi già assunti. Un doppio binario che sembra essere diventato ormai la regola del mercato del lavoro. Chi è dentro è dentro, chi resta fuori e vuole entrare paga in tempi, orari e norme peggiorative.
Quanto successo mostra in maniera evidente la debolezza del sindacato e quindi di tutti i lavoratori in un settore fondamentale, tra i più caratterizzati da una precarietà che travalica i confini ristretti del reddito, per insinuarsi nei tempi e nei modi di vita, toccando non solo il portafoglio ma l’anima di chi la subisce. Appare evidente come, senza una forte mobilitazione unitaria dai lavoratori del Commercio e dei Servizi, la precarietà divenuta ormai norma contrattuale, non potrà essere mai sconfitta nei suoi aspetti più deteriori. Non c’è bisogno di elencare le ritorsioni e i ricatti che sono costretti a subire i lavoratori. Basta cliccare su google Coop, Lidl, Esselunga o Auchan per farsi un’idea del clima che vivono in molti. E non è con la scusa della crisi che tali atteggiamenti da parte dei potentati economici a cui appartengono Centri Commerciali e Aziende di Logistica e Grande Distribuzione, possono essere giustificati o peggio coperti dai sindacati nel loro insieme.

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