La particolarità dell’operazione del furbo Tremontino sta, come è sua rinomata caratteristica, nella fantasia, nella creatività e nella naturale capacità di invertire l’ordine degli addendi, o delle priorità. Così la scure si china sul respiratore di giornali come il Manifesto, Liberazione, L’avvenire, L’Unità poiché colpisce i contributi diretti ma risparmia, invece, quelli indiretti, vedi alla voce “rimborsi postali”. Nel 2005, attraverso i rimborsi postali, lo Stato ha consegnato 20 milioni di euro al Gruppo Mondadori, 17 al Sole 24 Ore e 13 alla Rcs MediaGroup. Ovvero ai big dell’editoria italiana, diretta espressione di grandi potentati economici e assai connessi ai poteri politici. Un pool di variegati (fanno di tutto, dalla vite al bullone alla scarpa, preferibilmente no i giornali) e solidi imprenditori italiani (argh!), da far impallidire la Cai.
Rende l’idea una dichiarazione rilasciata da Carlo Malinconico Castriota Scanderberg (essù, pensate che si scherzi? E’ un nome onomatopeico), il nuovo presidente della Fieg, la Federazione italiana degli editori. Quando si è sparsa la notizia dei tagli ai finanziamenti pubblici ha commentato: “Il governo ha giustamente sottolineato la necessità di valorizzare i contributi indiretti (quelli ai colossi dell’editoria, di cui si diceva sopra). Sono più market friendly”. Senza bisogno di tanti giri di parole.
Al Manifesto mancano quattro milioni 50mila euro. È il contributo pubblico che avrebbe dovuto ricevere nel 2008 e che il governo ha messo in discussione con il decreto Tremonti. A Liberazione, invece, si prevede un deficit variabile tra i quattro e i quattro milioni e mezzo di euro. E qui, come non bastasse il cupo contesto, si aggiunge una mal celata voglia di regolamento di conti da parte della nuova dirigenza del partito con il giornale, la sua direzione, la sua linea editoriale. Un regolamento di conti che con gli zeri ha meno a che vedere, ma, ancora una volta, con la libertà di informazione – e con l’autonomia della redazione – sì.
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