E Tremonti sega i fondi all’informazione (quella che dice lui)

Settimana caliente per l’informazione italiana. Il già annunciato articolo 44 del decreto Tremonti sembra pronto a calare come una mannaia, falciando pesantemente il capitolo di spesa per l’editoria di 83 milioni per il 2009 e di 100 milioni per il 2010 (quando mancheranno altri 26 milioni per il decreto Ici). A rischio i giornali di partito e quelli con tirature minori, già penalizzati dal circo dell’inserzionismo pubblicitario che, di regola, preferisce i grandi giornali nazionali a colori. Sono in bilico 27 quotidiani editi da cooperative di giornalisti, 12 quotidiani organi di partito e 13 quotidiani e periodici di movimenti politici.

In un Paese come questo, con un grado di libertà d’informazione che ci posiziona, nelle classifiche internazionali, tra gli ultimi nel pianeta, c’è ben poco da stare allegri. L’immagine orrorosa di un mondo futuro dove si è obbligati a leggere la Repubblica  perché non c’è altro, perseguita come un incubo di Burroughs.

La particolarità dell’operazione del furbo Tremontino sta, come è sua rinomata caratteristica, nella fantasia, nella creatività e nella naturale capacità di invertire l’ordine degli addendi, o delle priorità. Così la scure si china sul respiratore di giornali come il Manifesto, Liberazione, L’avvenire, L’Unità poiché colpisce i contributi diretti ma risparmia, invece, quelli indiretti, vedi alla voce “rimborsi postali”. Nel 2005, attraverso i rimborsi postali, lo Stato ha consegnato 20 milioni di euro al Gruppo Mondadori, 17 al Sole 24 Ore e 13 alla Rcs MediaGroup. Ovvero ai big dell’editoria italiana, diretta espressione di grandi potentati economici e assai connessi ai poteri politici. Un pool di variegati (fanno di tutto, dalla vite al bullone alla scarpa, preferibilmente no i giornali) e solidi imprenditori italiani (argh!), da far impallidire la Cai.

Rende l’idea una dichiarazione rilasciata da Carlo Malinconico Castriota Scanderberg (essù, pensate che si scherzi? E’ un nome onomatopeico), il nuovo presidente della Fieg, la Federazione italiana degli editori. Quando si è sparsa la notizia dei tagli ai finanziamenti pubblici ha commentato: “Il governo ha giustamente sottolineato la necessità di valorizzare i contributi indiretti (quelli ai colossi dell’editoria, di cui si diceva sopra). Sono più market friendly”. Senza bisogno di tanti giri di parole.

Al Manifesto mancano quattro milioni 50mila euro. È il contributo pubblico che avrebbe dovuto ricevere nel 2008 e che il governo ha messo in discussione con il decreto  Tremonti. A Liberazione, invece, si prevede un deficit variabile tra i quattro e i quattro milioni e mezzo di euro. E qui, come non bastasse il cupo contesto, si aggiunge una mal celata voglia di regolamento di conti da parte della nuova dirigenza del partito con il giornale, la sua direzione, la sua linea editoriale. Un regolamento di conti che con gli zeri ha meno a che vedere, ma, ancora una volta, con la libertà di informazione – e con l’autonomia della redazione – sì.

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