Giornalismo e razzismo: una rima baciata

L’ondata di razzismo che sta travolgendo l’Italia ha molte cause. Vi è
sicuramente una precisa volontà politica nel dirigere l’insicurezza
sociale verso la paura e la ricerca del nemico interno. Un’insicurezza
che si insinua nel tessuto sociale di un paese in declino che retrocede
nelle gerarchie economiche mondiali e che destruttura quello stato
sociale, pessimo e clientelare, che comunque rimane la cifra universale
di ogni civiltà.


Il tutto in un clamoroso fuoritempo: il ritorno al
governo dei neoliberisti nostrani non si accorda con il crollo del
neoliberismo a livello mondiale. Dai nostri governanti più falsi che
Giuda e più cangianti dei mutaforma di Star Treck ci attendiamo un
indomito ritorno a politiche protezionistiche della debole economia
nazionale. Cosa assolutamente impossibile da praticare senza intaccare
l’unico caposaldo ideologico che il popolo italiano riconosca: il culto
del consumo. Aspettiamoci, dopo la finanza creativa, un ulteriore colpo
di genio dal ministro più in voga nei salotti letterari della penisola.
Pare che Tremonti stia pensando alla sostituzione del sistema
previdenziale con una versione più celeste: il sistema Provvidenziale.

Oltre alle responsabilità di destra abbiamo il dovere di citare le
enormi colpe di sinistra, istituzionale e neoextraparlamentare, che
vincono a piene mani il premio politico più ambito: "principianti di
lunga data".
L’argomento è così triste e scontato che passeremo oltre.
Passiamo alle responsabilità dei media. Dire che l’informazione di
questo paese è profondamente corrotta, malata e prezzolata, a parte rare
eccezioni, è dire un’ovvietà, ma non ci stancheremo mai di ripeterlo
giusto per non perdere la giusta misura della quotidiana indignazione
che è il sacro calice della sopravvivenza. Il campo è sterminato,
citiamo per tutti un quotidiano "free" (per modo di dire) che prova in
tutti i modi a percorrere la via del peggio: E-polis.
Veniamo agli esempi.
Un mese fa questo quotidiano evidenziava questa notizia:
"UN SEDICENNE RAPITO E VIOLENTATO DA DUE IMMIGRATI MAROCCHINI"
Nel leggere il contenuto dell’articolo si rimane un pò storditi. Anche
il sedicenne è immigrato e ciò, per noi, non cambia la gravità del
fatto, come d’altronde non aggiunge ninete l’utilizzo dei due aggettivi,
"immigrati" e "marocchini".
Per noi. Ma non per tutti.
Innanzitutto, perchè nel titolo dell’articolo si omette la condizione di
migrante della vittima, mentre si sottolinea quella degli aggressori
aggiungendo la nazionalità "marocchina", con chiaro intento
dispregiativo? A questo punto si sarebbe potuto titolare così "sedicenne
marocchino violentato da due criminali". La differenza fra le due
versioni è quasi un coefficiente di carica razzista che Epolis inserisce
con regolarità nei propri articoli. Per la cronaca l’episodio in sè è
una semplice spia dell’ordinario disagio sociale che i fenomeni di
impoverimento, marginalizzazione, precarizzazione, criminalizzazione
degli immigrati costribuiscono ad alimentare. Che guarda caso hanno
precisissime responsabilità politiche a carico dei nostri governanti.

Altro esempio, altro titolo parapsichiatrico.
"BIMBI ROM DI SETTE ANNI ACCOLTELLANO I CARABINIERI"
Innanzitutto rassicuriamo "l’associazione nazionale dei carabinieri
vittime dei bambini rom": non c’è stato nessun accoltellamento! I fatti
sono assolutamente diversi da come sono stati narrati e la scala di
gravità che dovrebbe governare la notizia è assolutamente distorta. In
sintesi: un gruppo di cinque o sei persone composto da un italiano,
slavi e sinti deruba due romeni e si rifugia nel campo nomadi; l’arrivo
dei Carabinieri che da queste parti non godono, e a ragione, di buona
fama non viene preso bene. D’altronde i Carabinieri sono il braccio
armato di uno stato che criminalizza pregiudizialmente, rom, sinti,
nomadi, slavi, immigrati, confondendoli l’uno con l’altro e
identificandoli tutti come criminali. Per una reazione uguale e
contraria, ma molto più legittima, costoro non credono alla "nostra"
giustizia e men che meno distinguono fra le forze dell’ordine i cattivi
e i buoni, ammesso che ce ne siano. L’arrivo "dei fedeli nei secoli"
solleva una forte reazione e accadono cose inaudite; testualmente: "..e
i bambini, scatenati, che in tre o quattro, di sette o al massimo otto
anni (?), con il coltello in mano, si sono scagliati contro i militari,
prendendoli intanto a calci". Riassumendo: un gruppo di quattro persone
fra cui un italiano rapina due romeni, rom, clandestini, dello stesso
campo. L’intervento successivo dell’Arma viene osteggiato dagli abitanti
del campo. Una storia di povertà e di ingiustizia in cui vittime e
carnefici sono immigrati a parte il figlio di un vigile urbano, col
pedigree di pura razza italica, fra i cattivi
(forse per emulare la baldanza razzista che serpeggia fra i colleghi del
padre?).

Altro giro, altro regalo.
Povera Denise e povera sua madre. Una signora riconosce in un isola
greca una bimba che assomiglia alla pargola rapita quattro anni orsono.
I giornali, non solo Epolis, forniscono una versione sconcertante. La
bambina parla italiano, la madre, albanese, no! Quest’ultima addirittura
scappa, inoltre non sa l’italiano e, dulcis in fundo, l’esame del dna
dimostra che non sono neanche parenti.
Eppoi a suo carico vi è un indizio tremendo: è albanese. Una slava, una
rom per la vulgata comune.
Ciò che è accaduto in seguito è noto, forse. La madre albanese è la
madre naturale della povera piccina e tutto ciò che è stato detto è
frutto della fervida immaginazione giornalistica dagli accenti sempre
più marcatamente gossippari. La successione degli eventi è quindi
questa: una signora italiana si fa un film che vuole proiettare in
eurovisione: vede Denise con la propria rapitrice. Avverte la polizia
turistica greca, che immaginiamo non essere dissimile da quella italiana
per finezza e sensibilità. Questi strappano la bambina dalle braccia
della propria madre che rimane scioccata ed atterrita senza capire
perchè sua figlia venga chiamata Denise e perchè usano questa violenza
gratuita su entrambe. Immaginate la persona, la donna, la madre, il
sentimento, l’affetto, lo smarrimento, il panico. Immaginiamo anche la
violenza, le domande urlate le risposte taciute, le spiegazioni non
date, gli sguardi torvi dei giornalisti e delle forze dell’ordine.
Pensate al razzismo che si concretizza in mille gesti, alla condanna che
precede il giudizio. Pensate alla bambina.
Almeno la storia ha un lieto fine, la bimba torna dalla propria madre.
Lieto fine?
Si legga allora ciò che scrive un tal Mauro Zola, opinionista d’accatto,
di Epolis
"la piccola di Kolos è figlia della donna albanese che l’accompagnava,
il che ci dà un dolore in più nel pensare alla vita che aspetta quel
viso dolcissimo".
Probabilmente così tante minchiate in così poche righe costituiscono una
specie di record (non è vero, lo sappiamo anche noi, al peggio non c’è
limite). Facciamoci del male, riflettiamoci bene:
"La piccola di Kolos" la vittima, superumanizzata, che giustifica per il
signor Zola gli errori e le violenze compiute dalla zelante cittadina
italiana, dai giornalisti e dalla polizia. La vera sofferenza della
bimba, non ci riguarda, ci interessa solo la sua proiezione sulle
"nostre" in/coscienze.
"Figlia della donna albanese" nazionalità d’origine usata in modo
dispregiativo, disumanizzante.
"Che l’accompagnava" distanziamento prerogativo per l’oscena conclusione
che segue…
"Il che dà un dolore in più". Dal significato gravissimo. La bambina è
innocente, la madre, essendo albanese, è colpevole a priori ed è per
questo che quest’ultima non ha il diritto di "stare" con sua figlia, ma
solo di "accompagnarla", che è una dismissione implicita del diritto
materno di crescere i propri figli.
Questo è il peggior razzismo, con dei precedenti storici inquietanti.
Non è forse di oggi la notizia che Videla è stato arrestato per aver
strappato, fra l’altro, i figli dei desaparecidos dal loro sacrosanto
diritto di crescere la propria prole secondo la propria scala di
riferimenti e di valori??

Altro esempio.
Il 17/10 un tal Giorgio Tosi, pronto per l’assunzione in un prossimo e
venturo minculpop, riscrive la verità dell’omicidio di Abba. Dopo aver
detto che "la verità [sta] tutta dentro le immagini registrate" dalle
telecamere che saranno decisive per la comprensione di ciò che è
avvenuto che "la procura ha deciso di secretarle e la squadra mobile ha
blindato…", il giornalista prosegue affermando che secondo
indiscrezioni non confermate si vedrebbe chiaramente una rissa più che
un’aggressione, con due gruppi che si affrontano. L’indiscrezione è così
affidabile che viene riportata nel titolo "RISSA, NON AGGUATO".
La verità è ben diversa; si è trattato proprio di un agguato, di un
omicidio per futili motivi, frutto della stessa sbornia ideologica
razzista che ha portato due baristi, uno dei quali pregiudicato, ad
uccidere un ragazzo italiano, e un giornalista dalle sinapsi incerte ad
inventarsi le indiscrezioni e a scrivere di cronaca basandosi sulla
propria deperita coscienza.
Ma come abbiamo detto, al peggio non c’è limite
Signor Tosi, proprio glielo dobbiamo dire; la frase finale da lei
scritta è indecente e la riportiamo per intero
"ci sarebbe stato uno scontro tra gli italiani e gli africani e che solo
per una drammatica casualità il colpo col bastone avrebbe ucciso Abba" .
La verità è distante anni luce; non c’è stato nessuno scontro; Abba è
italiano; quei due italiani sono dei criminali e ci fanno vergognare; ed
infine l’espressione, tutta sua, condizionale e condizionata "avrebbe
ucciso Abba" ci fa vergognare ancora di più. Il colpo, disgraziatamente,
HA – e non "avrebbe" – ucciso Abba e la sua penna, che si sa, ferisce
più della spada figurarsi del bastone, ha inferto un duro colpo alla
professione di giornalista.

E questi sono solo alcuni degli esempi che si possono trovare giorno
dopo giorno sui media (ovviamente la tv non e’ da meno) a partire da
quelli "storici e rigorosi" ai freepress di poche pagine: razzismo,
infamia, populismo di bassa lega, subalternita’ al potere e molta
ignoranza sembrano essere oggi le parole d’ordine del fare informazione.

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