I lavoratori e la trappola dell’arbitrato

chaplin2L’ articolo 35 della Costituzione, primo comma, recita: «La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni». Questa speciale tutela è resa necessaria dal riconoscimento che in tutte le fasi del rapporto di lavoro – l’ assunzione all’ inizio, poi le condizioni in cui si effettua la prestazione lavorativa, sino alla cessazione del rapporto per licenziamento o altri motivi – il lavoratore rappresenta dinanzi al datore di lavoro la parte sostanzialmente più debole.

Tale interpretazione è stata ribadita da una lunga serie di sentenze dell’ Alta Corte e della Cassazione. Può dirsi pertanto che gran parte del corpo del diritto del lavoro, nonché i dispositivi volti a rendere effettivo tale diritto, abbiano tra i loro fondamenti il suddetto articolo.

Ma adesso è in arrivo il disegno di legge n. 1167, approvato dal Senato a fine novembre e trasmesso alla Camera per il voto definitivo previsto a gennaio. Il dl. n. 1167 è un orrendo coacervo di 52 articoli che affrontano le materie più disparate, tra cui l’ età pensionabile dei dirigenti medici e il congedo di maternità, i gruppi sportivi delle Forze Armate e l’ albo delle imprese artigiane. Però nel bel mezzo del testo compaiono tre articoli, dal 32 al 34, che sembrano concepiti apposta per indebolire ancora la parte che è già costitutivamente la più debole nel rapporto di lavoro – appunto il lavoratore.

Nel perseguire tale scopo il disegno di legge segue varie strade. La prima consiste nel potenziamento di istituti come l’ arbitrato e la conciliazione per risolvere le controversie di lavoro, a scapito della via giudiziaria. Che cosa siano questi istituti è noto. Quando due soggetti sono in lite, ma vorrebbero evitare i tempi e i costi di una causa in tribunale, designano congiuntamente un arbitro nella persona di uno o più professionisti competenti nella materia oggetto della lite, e al suo parere si attengono, anche se non sono d’ accordo. Nel caso della conciliazione essi cercano invece di addivenire a un accordo, vuoi trattando tra loro, vuoi accettando o richiedendo l’ intervento di un terzo. Ora, sia l’ arbitrato che la conciliazione configurano un rapporto sociale ragionevolmente equilibrato allorché i soggetti in conflitto si trovano in una posizione di potere analoga e dispongono di mezzi economici simili. Per contro i due istituti configurano un rapporto decisamente squilibrato se uno dei soggetti, per dire, è un imprenditore che al momento di assumere qualcuno può scegliere tra centinaia o migliaia di candidati, e l’ altro è un giovane o un disoccupato che ha un bisogno disperato di trovare un’ occupazione.

È qui che scatta la trappola del dl. 1167. Esso prevede infatti (art. 33, comma 9) che al momento di sottoscrivere un contratto di lavoro davanti a una delle tante commissioni locali cui è attribuito il compito di certificare se il contratto stesso definisce un’occupazione alle dipendenze oppure un lavoro autonomo (tipo collaboratore a progetto), di durata determinata oppure indeterminata e altre condizioni, il lavoratore deve compiere una scelta drastica. Deve cioè aderire, o rifiutare, un compromesso con il quale s’ impegna, nel caso sorgano future controversie di lavoro, a rinunciare al ricorso al giudice a favore di una procedura di arbitrato o di conciliazione. Dei quali, stante lo squilibrio socio-economico che sussiste tra le due parti, si può agevolmente prevedere l’ esito. Tanto che la stessa Corte costituzionale si è più volte pronunciata contro il ricorso all’arbitrato nelle controversie di lavoro.

Stante questo dispositivo introdotto dal dl. 1167, il ricorso alla giustizia del lavoro diventerà un lusso,o un rischio, che pochi lavoratori vorranno permettersi. In ogni caso, la neo occupata o l’ ex disoccupato i quali abbiano rifiutato di firmare all’atto dell’assunzione il suddetto compromesso, e volessero correre il rischio, o permettersi il lusso, di adire al giudice del lavoro perché qualcosa non va nel loro contratto, troveranno un giudice che a loro favore, se il disegno di legge in questione diventa legge, potrà fare ben poco. Questo perché al potenziamento dell’arbitrato fa riscontro il depotenziamento del giudice. Difatti l’ art. 32 (commi 1 e 2) del disegno stesso statuisce che esso giudice, a fronte di una controversia di lavoro, deve limitarsi unicamente a stabilire se il contratto tra il datore di lavoro e il lavoratore sia stato stipulato in forma legittima o no. La nuova legge gli vieta espressamente di intervenire in merito a valutazioni tecniche, organizzative e produttive. In tal modo la possibilità per il giudice di esercitare giustizia, e per il lavoratore di ottenerla, è definitivamente mutilata. Il punto critico al riguardo è che la iniziale legittimità formale di un contratto di lavoro è solamente uno dei tanti aspetti del rapporto che esso istituisce tra il datore e il lavoratore.

Dopo un po’, capita di scoprire che le mansioni affidate a quest’ultimo, gli orari che è tenuto a rispettare, i mezzi di produzione che deve utilizzare, le relazioni che deve intrattenere con soggetti terzi nell’espletamento del lavoro, l’organizzazione stessa di questo, configurino come totalmente dipendente un lavoro che il contratto sottoscritto definiva come autonomo; così come può accadere l’esatto contrario. Ma il lavoratore che si ritiene danneggiato non avrà più interesse ad andare dal giudice per denunciare che le condizioni di lavoro effettive sono radicalmente diverse da quelle previste dal contratto iniziale. La nuova legge vieterà infatti all’operatore di giustizia di indagare sui suddetti aspetti sostanziali del rapporto di lavoro.

Salvo modifiche rilevanti da parte della Camera, ormai imprevedibili, il dl. n. 1167 a gennaio diventerà legge. L’ art. 3 della Costituzione perderà così gran parte della sua efficacia tutelare. Sussiste, è vero, il baluardo della Suprema Corte. Ma prima che essa arrivi eventualmente a dichiarare incostituzionali gli articoli in questione, alcune centinaia di migliaia di giovani e meno giovani dovranno comunque sottoscrivere, se vorranno essere assunti o vedere rinnovato il rapporto in essere, dei contratti di lavoro sottratti per legge al dominio della giustizia del lavoro.

A parte i suoi contenuti, questa particolare iniziativa in tema di controversie di lavoro getta una luce cruda su una questione di portata generale. Mentre si discute placidamente di possibili intese bilaterali per compiere grandi riforme della seconda parte della Costituzione, riguardante l’ ordinamento della Repubblica, vi sono articoli fondamentali della parte prima, riguardante i principi, che quasi ogni giorno vengono erosi, elusi, smontati pezzo a pezzo dalla maggioranza a forza di piccole leggi dall’apparenza innocua, incomprensibili o ignote ai più, ma irte di conseguenze sociali di rovinosa portata.

di Luciano Gallino, da Repubblica, 15 dicembre 2009

Articoli Correlati:

Leave a Reply

You can use these HTML tags

<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

  

  

  

*