I nomadi del nucleare

Tommaso Basevi ci ha girato un suo interessante articolo uscito su “Alias” (supplemento de “Il Manifesto”) e che pubblichiamo volentieri.

Li chiamano “ jumpers “: i saltatori. Oppure i “nomadi del nucleare”. Sono lavoratori senza fissa dimora, che percorrono la Francia inseguendo una chiamata. Dormono in campi roulottes alle porte delle centrali nucleari, pronti a intervenire per i lavori più rischiosi: manutenzione idraulica, meccanica, pulizia dei macchinari ad alto tasso di radioattività. Per 50 anni nessuno si è mai interessato a loro. Invisibili. Fagocitati dal silenzio, aspirati dal reattore. Oggi le loro voci cominciano a farsi sentire alzando il velo su tante menzogne propagandate come verità scientifiche. Un documentario (“R.A.S – Nucléaire. Rien à signaler” di Alain de Halleux, distribuito da Iota Production e Crescendo films) alcuni romanzi “sociali” di cui uno, “La Centrale” (Elisabeth Filhol, edizioni P.O.L) che, a sorpresa, ha scalato le classifiche delle vendite Oltralpe e che sarà prossimamente tradotto anche in italiano.

La storia dei 22 mila lavoratori “precari” del nucleare d’Oltralpe rischia di incrinare le granitiche certezze e i segreti racchiusi nei perimetri invalicabili dei 19 siti nucleari francesi e nei caveaux dei grandi gruppi che gestiscono il business dell’atomo.

“Improvvisamente questa gente si è messa a parlare. Lo spirito di corpo ha smesso di funzionare. Prima molti di loro si sentivano comunque parte di una “grande famiglia”, quella dell’industria nucleare, fiore all’occhiello di un intero paese. Il fatto che abbiano cominciato a vuotare il sacco è il segnale che la situazione è veramente grave” avverte de Halleux. “Fino agli anni 90 il nucleare civile in Francia era legato a una nozione di servizio pubblico. Alla base c’era un’idea di per sé “generosa”: quella di fornire energia a basso prezzo a tutti i cittadini. La privatizzazione parziale di EDF ha cambiato completamente lo scenario. L’imperativo ora é fare soldi e farli in fretta anche a scapito della sicurezza” aggiunge la sociologa del lavoro Annie Thébaud-Mory.

Il libro “La Centrale” è una sorta di Germinal dei tempi dell’atomo. Racconta la storia di Yann, 25 anni, un “jumpers”, un “palombaro” assunto con “contratti a termine” attraverso le agenzie interinali che come funghi proliferano nei villaggi delle zone vicine alle centrali e che forniscono manodopera a buon mercato ai colossi del settore come Areva (che detiene di fatto il monopolio della costruzione degli impianti) e EDF il gigante dell’energia che ora deve fare i conti con la concorrenza della privatizzata GDF-Suez.

Come i suoi compagni Yann deve “tuffarsi” nel generatore di vapore che alimenta il reattore e che a intervalli regolari va revisionato (ma il sistema dei subappalti ha tra le tante nefaste conseguenze quella di aver reso più laschi i controlli e ridotto al minimo i tempi degli arresti di produzione). Un’operazione lampo che deve durare non più di 120 secondi pena un sovrairradiamento che lo costringerebbe a restare in quarantena e a perdere quindi parte del suo salario. Confrontato alla defezione di uno dei suoi colleghi “paralizzato” dalla paura che lo ha colto al momento del “tuffo” scopre quello che si era sempre impedito di scoprire. Il nucleare uccide e i jumpers più che atleti che flirtano col rischio sono “carne a neutroni” “corpi in affitto”, “lavoratori che per campare vendono la propria dose di 20 millesivert”, il massimo di irradiamento annuale consentito per legge, in cambio di un salario che si aggira tra i 1200 e i 1500 euro mensili.

Pierre Lambert, scafandrista, ricorda il suo primo giorno di lavoro nella centrale di Chaux: “Mi hanno chiamato la sera prima dicendo di presentarmi in centrale per un intervento urgente. Assieme a un collega ci siamo trovati ai bordi di una spendida piscina color blu cobalto. Ci siamo immersi. Quando siamo usciti dalla vasca di raffreddamento il sistema d’allarme ha suonato. Mi hanno detto che ero contaminato e che rischiavo una leucemia. Li per li non senti niente e speri di essertela cavata. Poi a poco a poco gli immunosoppressori attaccano i tuoi muscoli e ti ritrovi senza più la forza di reggerti in piedi. Sul volto compaiono delle ecchimosi, ti guardi allo specchio e assomigli a un mostro. Io ho citato EDF in giudizio. Mi hanno risposto che per gli incidenti sul lavoro in campo nucleare dopo 10 anni scatta la prescrizione”

10 anni: il tempo di incubare la malattia e di occultare le cause che l’hanno provocata.

Pensare che il caso di Pierre rientri nelle statistiche riguardanti gli incidenti sul lavoro rimediati nel settore del nucleare è illusorio. Perchè ai termini di legge i salariati delle imprese subappaltanti di Areva e EDF non sono considerati lavoratori del nucleare. Sono esclusi dal conteggio. I dati esistenti riguardano soltanto il personale interno (i dipendenti di Areva o EDF) che, grazie alla liberalizzazione degli ultimi anni, spiega Annie Thébaud-Mony “sta ormai in cima alla scala gerarchica. Il “lavoro sporco” lo fanno i nomadi. Solo loro che incassano l’80% della dose collettiva annuale di radiazioni ionizzanti prodotte dal parco nucleare francese”

“Quando ho cominciato a fare questo lavoro – racconta Jean Marc Pirotton – il mio capo mi parlava di rischio zero. Le centrali venivano definite ultrasicure. Poi hanno lasciato perdere il rischio zero ed hanno cominciato a parlarmi di rischio calcolato”.Oggi la dottrina della radioprotezione che viene divulgata negli stages impartiti al personale si fonda sul principio ALARA, un acronimo derivato dall’inglese (as low as reasonably acceptable) che lascia margini “interpretativi” importanti. Il livello massimo di radiazioni ionizzanti fino al 2003 era fissato a 50 millesivert annuali per i lavoratori del nucleare e di 5 millesivert per la popolazione (una dose calcolata sulla base delle osservazioni degli effetti della bomba atomica osservati sugli abitanti di Hiroshima e Nagasaki). Questo livello in seguito è stato rivisto al ribasso su pressione degli organismi internazionali ma nel contempo è stato spalmato in maniera diseguale lungo la linea gerarchica interna. La “dose” radioattiva “accettabile” per un pulitore di una ditta subappaltante è di fatto più elevata di quella di un tecnico specializzato di EDF.

A lanciare l’allarme non sono solo gli antinuclearisti irriducibili o qualche associazione di scienziati “fuori dal coro” (vedere http://www.criirad.org e http://www.global-chance.org)

Marcel Boiteux ex direttore generale di EDF ammette che “ormai si è oltrepassato il segno. Il fenomeno dei subappalti è diventato una mania. Il rischio è quello di una perdita del controllo sulla catena produttiva e di un impoverimento delle competenze e della professionalità che un giorno potrebbe portare al disastro”.

La casta tecnocratica che pianifica lo sviluppo di un settore chiave come quello del nucleare esercita una forte pressione non solo sulle ditte che per accaparrarsi commesse tendono a tagliare i costi ma anche sui propri dipendenti. Chi non rispetta la regola del silenzio rischia grosso. E’ il caso di Serge Serre, tecnico EDF con 30 anni di esperienza alle spalle, che dopo aver denunciato alla direzione i tagli degli effettivi alla centrale di Cruas e i conseguenti rischi per la sicurezza è stato licenziato in tronco. Trattato come un rompiballe, troppo zelante ed allarmista. Serge oggi ha perso il suo status e lavora a chiamata. E’ stato uno degli animatori del blocco della centrale che nel 2008 ha costretto la direzione al reintegro di alcune decine di persone rimaste a spasso dopo un repentino cambio di appalto.

Molti altri suoi colleghi pero’ hanno deciso di abbandonare questa lotta impari. “Ho preferito andarmene – racconta il radiologo Christian Ugolini – la gestione delle centrali oggi si basa esclusivamente sul ricatto e la paura. Prima chi sbagliava ammetteva il proprio errore, lo comunicava alla direzione e ai colleghi per porvi rimedio . Ora sta zitto nel timore di venire allontanato. E’ una dinamica molto pericolosa”.

Ricordate l’epidemia di suicidi causati dal mobbng iperproduttivista a France Telecom? Ebbene non si trattava di un caso isolato. Le centrali nucleari hanno anch’esse le loro “scorie umane”. “Ho tentato di farla finita gettandomi nel Rodano con una pietra al collo – racconta Jean Luc Lacroix istruttore in radioprotezione – mi hanno salvato ma 13 miei colleghi invece si sono tolti la vita per davvero. L’ultimo si è suicidato qualche settimana fa lanciandosi giu’ da una scogliera in Normandia”.

“Forse per rimettere in discussione l’intero sistema dovremo aspettare una nuova Chernobyl” osserva un delegato sindacale della CGT. José Andrade, un suo collega, è più cauto. “Anche un incidente grave non servirebbe: proverrano comunque ad addossare la responsabilità agli anelli più deboli della catena”. I fatti sembrano dargli ragione: è l’Agenzia nazionale per la sicurezza nucleare a repertoriare un totale di 10786 incidenti “significativi” prodottisi nelle centrali francesi tra il 1986 e il 2006. Nel luglio del 2008 sul sito di Tricastin prima venne registrata una fuoriuscita di materiale radioattivo che si ando’ a riversare nelle acque del Rodano. Poi una panne alla condotta di uno dei reattori provoco’ la contaminazione di un centinaio di lavoratori.

Ma l’incidente è stato presto dimenticato. EDF, AREVA e GDF-Suez avevano preoccupazioni più urgenti. Lanciate alla conquista del mercato globale stanno caparbiamente cercando di “piazzare” i reattori EPR di “nuova” generazione in paesi compiacenti (vedi Italia). I flop e i costi esorbitanti già inanellati in questi anni non bastano a fermarli. A chi ora continua a progettare“affari” citando il modello francese come luminoso esempio di sviluppo risponde Philippe Billard decontaminatore “contaminato” e lucidamente pessimista: “faremo la stesse fine di quelli dell’amianto. E non potremo chiedere il conto a nessuno perche le contromisure sono già state prese: hanno subappaltato tutto, rischi e responsabilità”. L’Enel e il governo Berlusconi sono pronti a seguire la stessa strada. Con le aggravanti tipiche del nostro paese purtroppo facili da intuire.

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