Il contratto dei giornalisti in dirittura d’arrivo.

Ci sono voluti quattro anni, ma adesso è quasi fatta. Quei
"birichini" dei giornalisti, come li chiama il premier, sono pronti a
firmare il rinnovo del contratto di lavoro. Ricostruire tutta la
vicenda che sta giungendo a conclusione è complicato.


Ma City of
gods, free&free press precaria, è stata inventata e poi distribuita
nelle stazioni della metropolitana di Milano il 23 dicembre 2006,
anche a sostegno a quello che verrà ricordato come l’ultimo sciopero
indetto dai giornalisti contro gli editori. Questa storia, dunque,
non solo la conosciamo piuttosto bene. Un po’ ci riguarda. Vediamola.

In mezzo ci sono stati un paio d’anni in cui gli editori si sono
rifiutati di discutere la piattaforma del sindacato, imperniata sulla
precarietà e sulla qualità. Poi, nella confusione, si sono avuti, in
ordine sparso: una vertenza "privata" dei giornalisti di Repubblica
con il loro padrone illuminato per beccarsi i quattrini loro; tutti i
grandi quotidiani (Sole 24 ore, Corriere della sera…) impegnati nel
doppio gioco dello "scarico" (degli altri) e dell’"arraffa" (tutto
quello che puoi); l’intensificarsi progressivo della
finanziarizzazione applicata all’editoria; il crollo del governo-
amico (Prodi); il cambio gattopardesco dell’intera segreteria
nazionale della Fnsi, il sindacato unitario dei giornalisti italiani.

L’ultima opportunità – persa – per la categoria dei giornalisti è
stata, probabilmente, il Congresso di Castellaneta, lo scorso anno.
Invece che farne un luogo "allargato" dove mettere in luce,
laicamente, novità, trasformazioni e contraddizioni, hanno deciso tra
"intimi" l’allargamento della maggioranza alla minoranza, un ossimoro
per dire che da lì si è usciti con un governo unitario del sindacato,
condiviso tra le varie correnti. Da lì è ripartita una macchina
vertenziale più lenta, più mite, più disponibile, addomesticata,
disposta a valutare per il bene futuro dei giornalisti italiani le
richieste degli editori. Nel futuro dei giornalisti italiani ci
saranno perciò multimedialità, mobilità, distacchi, licenziabilità
dei vertici, unità produttive redazionali (piattaforme multimediali
dove si lavorerà per più media insieme). Diventa evidente il tradursi
del giornalista in figura della post- produzione messa in produzione.
Diventa evidente la necessità di incrementare i tassi di produttività
del lavoro cognitivo. Soprattutto, lo scopo è aumentarne la
flessibilità e abbatterne i costi, visto che la conoscenza non è più
una risorsa scarsa. Google, il peer to peer, i blog, wikipedia, il
free softwer, l’open source, il copyleft, tutto ciò ha consentito la
distruzione dei muri di separazione, di apertura degli accessi al
"circolo dei sapienti" a grandi parti della popolazione, e ben aldilà
di ciò che veniva, in passato, accreditato esclusivamente nelle
scuole, nelle accademie. E dai giornali. Questo processo da un lato
ha terribilmente spaventato i giornalisti (dai cui le ulteriori
chiusure corporative, i particolarismi dei "quotidianisti",
l’abbandono dei freelance alla loro miseria, la richiesta di leggi
repressive e di certificazioni per l’online, oppure di circoli della
stampa ancor più ricchi di specchi e stucchi e di amministratori di
spicco…), dall’altro, paradossalmente, ha fatto sbracare il
sindacato. La mancanza di consapevolezza fa brutti scherzi, la
solitudine pure. La crisi, poi, ha dato il colpetto finale.

Con alle spalle il fantasma della recessione che si agitava facendo
le facce (brutte), il grosso della categoria è stato reso arrendevole
e ragionevole. I freelance mollati al loro destino, i grandi gruppi
editoriali hanno deciso l’unilaterale taglio del 25% dei compensi dei
collaboratori nel silenzio generale. I Comitati di redazione vivono
un vuoto senza precedenti, tra mancanza di "vocazioni" e mancanza di
competenza e di significato (è il sindacato liquido, come il Pd di
Veltroni).

Dopo tutto questo giro e per tutti questi motivi avremo dunque un
buone esempio di contratto "ineluttabile", quello che non vorresti,
quello che ti fa schifo ma che ti tocca, "se non vuoi rimanere
tagliato fuori" (ma da che cosa? è un bel mistero…)

Il cerchio si chiude, in questo assurdo Paese, con un premier che, in
quanto premier, stabilisce che disporrà le trasformazioni di legge
necessarie per allargare e modificare l’elargizione degli
ammortizzatori sociali per i giornalisti e con un altro cappello ne
usufruisce come datore di lavoro, visto che il ricorso ai "benefici"
della cassaintegrazione e dei prepensionamenti dovrebbe estendersi
anche a periodici (Mondadori) e tivù (Mediaset). Dopodiché, chiosa:
"a questo punto siamo nelle condizioni di chiudere il contratto di
lavoro dei birichini, l’ho detto anche al ministro Sacconi".

Sul
nuovo contratto ci sarà modo e tempo di fare analisi più
dettagliate, una volta che sarà ufficiale – visto che si tratta del
primo contratto in Italia che fotografa – il tradursi in pratica di
alcuni aspetti che compongono la realtà attuale del capitalismo
cognitivo. Viene dunque da più parti indicato come paradigmatico. Esso
ammette nei fatti l’avvenuta perdita di autonomia e lo scadimento,
dentro la percezione sociale collettiva, dei lavoratori della
conoscenza all’interno della dimensione
capitalistica contemporanea, laddove l’informazione viene ridotta a
merce. Modernità.

 

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