Le femministe denunciano per stalking CGIL CISL e UIL

thanx to rose and olive
Cgil, Cisl e Uil hanno organizzato una manifestazione nazionale a Roma per l’8 marzo. Stanno “dalla parte delle donne, in occasione del centenario della ricorrenza” e vogliono dimostrarlo, predisponendo una bella parata. Quattrocento donne riunite a Roma il 23 e 24 febbraio scorso per una "due giorni" di riflessione su temi diversi, avevano approvato un documento finale che, sulla questione specifica dell’improvvisa vocazione femminista confederale, si esprimeva più o meno così "giù le mani dalla mobilia", vale a dire basta con i tentativi di partiti e istituzioni di mettere il cappello su date e azioni di movimento. 
In tutte le città d’Italia, collettivi di donne e lesbiche hanno organizzato autonome iniziative sui territori.

Senza ingrandire polemiche che si potrebbero (e si sono) agitate su questo “strano” interessamento “pre-elettorale”, City of Gods ritiene utile richiamare alla memoria alcune cose. Le donne, in Italia, grazie alle politiche intraprese dai sindacati confederali a partire dal 1993 (ormai un secolo fa), sono le più precarie tra i precari. Non esiste ordine di contratto, tra i 38 che attualmente compongono il variopinto mondo del lavoro atipico italiano, che non le veda in pool position.  

Una recentissima indagine fatta a Torino (2008), su un campione di 850 giovani compresi tra i 18 e i 34 anni, dimostra che su 100 donne le precarie sono 48, le stagiste e/o in apprendistato 11 (in totale il 59%). E’ l’inverso per gli uomini.  

Manteniamoci sui dati e passiamo a una ricerca Eurispes sui lavoratori atipici tra i 18 e i 39 anni (2005). Il 77,5% delle donne, contro il 57% degli uomini, dichiara di essere insoddisfatta delle tutele sociali previste dai contratti “flessibili” accettati, negli anni, dai sindacati. Ci riferiamo a maternità, malattia, sicurezza: il 63% delle intervistate ritiene che non esista diritto alla maternità per le atipiche (barrata la casella “per niente”). La percentuale di donne che pensano che l’atipicità del proprio rapporto di lavoro abbia influito molto (17,1%) o abbastanza (9,9%) sulla possibilità di fare un figlio è infatti pari al 32,8%, a fronte di un dato maschile del 27%.

Anche rispetto alle tutele sindacali, sono soprattutto le donne a denunciare (il 71,1%, contro il 49,2% degli uomini) un “modesto e inadeguato livello di protezione”.

La maggioranza delle donne del campione Eurispes ritiene poi che la forma contrattuale del proprio rapporto di lavoro abbia influito “molto” o “abbastanza” sulla possibilità di comprare un appartamento ricorrendo a un mutuo, accedere al credito o prendere in affitto un appartamento. Prevalente tra le donne anche la percentuale di quante affermano che l’essere lavoratrici atipiche ha influito molto (32%) o abbastanza (35,2%) sulla possibilità di andare a vivere per conto proprio, pari, complessivamente, al 67,2% (contro il 42% degli uomini).

Il 31,6% delle “ragazze”, contro il 15% dei maschi ritiene che il fatto di essere precaria abbia influito su una serie di disturbi psico-fisici (ansia, stress, depressione).

Infine: in base a quanto rilevato dall’indagine, il senso di vulnerabilità economico-lavorativa,

personale ed esistenziale derivante dallo status di “atipico” (il tempo scorre di più e più velocemente; si subisce maggiormente l’impatto della flessibilità sulla propria crescita professionale e sul proprio benessere psico-fisico; la precarietà condiziona scelte di vita importanti, a volte difficilmente procrastinabili – come quella di fare un figlio) colpisce di più, in generale, la componente femminile del campione. In particolare, è possibile osservare che, tra le donne, ben il 71,5% ritiene che al termine della propria esperienza lavorativa la propria pensione sarà inesistente (37,5%) o comunque insufficiente a garantire una vecchiaia dignitosa (34%).  

Riassumendo: i vari pacchetti Treu, la legge 30, l’accordo sul welfare 2007 hanno reso le donne più precarie; hanno minato diritti fondamentali come la maternità e la malattia; le hanno private delle tutele minime sindacali; hanno reso complessivamente fragili le loro vite, difficili i processi di autonomia, facile l’aumento del malessere psico-fisico, indistinta l’idea del futuro.  

Potremmo, ancora,  entrare nel merito del peggioramento progressivo e inarrestabile dell’istituto del part time, della mancanza totale di uno “sguardo di genere” all’interno di qualsivoglia tipo di contrattazione sindacale, della tragedia delle “commissioni pari opportunità” sempre incluse in queste “consorterie” (poco più che riserve indiane, dove ci si muove sulla base di stereotipi e obiettivi fossili), ma il quadro ci sembra sufficientemente chiaro.

Nessuna voglia di piagnistei. Le precarie sono, di norma, più disposte all’incazzatura che alle lacrime. Nella precarietà, approvata da Cgil Cisl e Uil, un’intera generazione è diventata grande. Abbastanza da capire come funzionano davvero le cose.

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