Lettera aperta ai lavoratori della cooperativa sociale “La Testarda”

Nel mese di giugno una vostra collega veniva scaricata dalla vostra cooperativa perché incinta.

Ha lavorato presso di voi per circa un anno frequentando
contemporaneamente un corso di 1000 ore per ottenere la qualifica di
OSS su esplicita richiesta della vostra direzione che prometteva, in
seguito a questo, un contratto a tempo indeterminato. Senza questa
promessa difficilmente avrebbe retto le difficoltà  che tale gravoso
impegno comporta, impegno che la vedeva contemporaneamente a scuola e
al lavoro.

Per un principio di onestà  nel rapporto lavorativo
ha rivelato il suo stato interessante poco prima della fatidica data
d’assunzione e, come molti sanno, a parole è stata rassicurata, nei
fatti, liquidata.

Il sistema legale vigente (leggi Treu e
Biagi)
, permette queste forme di discriminazione, ma ciò non significa
che queste leggi siano giuste, essendo studiate per favorire il
precariato e il ricatto sociale. Un ambiente di cooperativa (vero, e
non di facciata) permette ai soci di dire la loro e di non subire
supinamente ogni scelta dall’alto. (Sappiamo di persone, nella vostra
cooperativa, che hanno atteso due, fino a tre anni un contratto che li
garantisse minimamente, migrando da un contratto a tempo determinato
all’altro, la cooperativa quindi non ha mai smesso di tutelare se
stessa a discapito di chi ci andava a lavorare. Possiamo comprendere
che la situazione delle cooperative è critica date le problematiche
insite nel lavoro preso in appalto dalle ASL e dai servizi sociali, ma
se un ingiusto trattamento economico è il prezzo, un giusto trattamento
contrattuale e vivibili condizioni lavorative ne dovrebbero essere il
riscatto
).

Nei primi due mesi abbiamo atteso invano una
risposta di solidarietà  e siamo venuti a conoscenza di una riunione
d’equipe nella quale la nostra amica lavorava, in cui la grande
maggioranza decideva che avrebbe dovuto essere assunta, tutelata nel
periodo della maternità  per tornare infine a lavorare con voi. Scelta
solidaristica e giusta.

Di tale scelta il CDA non ha tenuto
minimamente conto alla luce del fatto che all’interno della cooperativa
c’erano altre quattro maternità  in atto. Numero normalissimo se si
valuta la maggioranza femminile in età  fertile del personale (sappiamo
anche che alcune di queste donne la loro maternità  la stanno terminando
…).

Da indiscrezioni avute pare che quella di silurare le
maternità  dove possibile fosse una scelta fatta a monte, una scelta che
se fosse vera, ci sembra profondamente arrogante e discriminante.

Tale indirizzo, di stampo “imprenditorial-efficentista-produttivista”
esclude per sua natura quei meccanismi di supporto sociale che devono
essere alla base dell’operare umano, oggetto di dibattiti e discussioni
nel passato e nel presente, anche e soprattutto, negli ambienti
cooperativistici “rossi”, conseguenza logica dell’applicazione
dell’etica.

In questo imbarazzante clima di silenzio, dopo
ben due mesi di attesa di una promessa risposta, (ti facciamo sapere
entro una settimana le ultime parole della referente di servizio…)
alcuni solidali, esterni alla cooperativa hanno intrapreso una strada
di denuncia diretta operando nel campo dell’informazione. Nello stesso
momento in cui lì da voi vigeva il silenzio, ovvero la rimozione
dell’evento, all’esterno si apriva un dibattito che ha dato vita ad
alcune scelte ed azioni.

Tra queste una che vi ha tanto
scandalizzato, a nostro parere, per la lettura superficiale che le è
stata data. Stiamo parlando di alcune scritte sui muri della vostra
sede, in difesa del diritto alla maternità  e indicanti uno dei maggiori
responsabili dell’accaduto. La sede di via Pianezza è stata esclusa in
virtù dell’iniziale solidarietà  espressa. Alcune scritte sono apparse
anche in altri precisi luoghi legati alla discussione politica, dato
che uno dei responsabili dell’accaduto è politicamente attivo in
ambienti che denunciano il precariato, mentre di fatto, evidentemente a
loro insaputa, ne abusa in virtù del … “bene” … dei conti della
cooperativa).

In base a una strana logica (civismo?
benpensare? borghesismo?) queste scritte sono state considerate fatto
ben più grave del barbaro motivo che le aveva causate. Problema di
linguaggio?
Linguaggio economico, irriverente ed ampiamente utilizzato
nel passato e nel presente nelle lotte in tutto il mondo. Ciò non
toglie che nessuno, nei mesi precedenti e successivi, vi ha impedito di
mostrare concretamente, con i vostri metodi e linguaggi tale
solidarietà , eppure non lo avete fatto.

Ecco invece avviarsi
(quanto manipolato lo possiamo immaginare noi che conosciamo bene i
burattinai dell’accaduto…) un perverso meccanismo che vede le vittime
trasformate in carnefici. Ecco comparire, come per magia, sia dentro
che fuori la cooperativa, teoremi circa improbabili congiure, voci che
smentiscono le promesse d’assunzione e travisano l’accaduto
sbandierando false giustificazioni giusto per salvare la faccia. In
realtà  la conferma di assunzione poco prima della scoperta della
gravidanza era arrivata a Sara in più occasioni, per bocca dello stesso
responsabile del personale, della referente di servizio e di alcuni
colleghi con cui quest’ultima aveva parlato, un vero peccato, per i
bugiardi, che lei entusiasta ne avesse parlato con i suoi amici e
compagni di studio prima ancora di sapere di essere incinta,
l’assunzione definitiva, secondo gli accordi, avrebbe dovuto partire
dal 20 giugno; sempre nello stesso periodo durante le riunioni di
equipe le veniva proposta la co-referenza di un utente: difficile
pensare che si affidi la referenza di un ragazzo ad una operatrice che
di lì a poco finisce il contratto se non perché la si vuole inserire
stabilmente.

Come quindi paragonare la premeditata insolenza
di una scritta cancellabile in cinque minuti con la violenza della
discriminazione su una donna
che porta in sé affanni ed afflizioni e,
nel caso specifico anni di oggettiva difficoltà ?

Ai nostri
occhi il confronto non è possibile, ma a occhi menefreghisti e
distratti, intenti solo a trovare una giustificazione al proprio
disimpegno solidaristico, tutto questo può sfuggire.

Sta di
fatto che la nostra amica nulla sapeva delle scritte, e di altre
iniziative quali lettere e cartoline di sdegno, adesivi, discussioni,
ecc delle quali sembra esservi sfuggito anche il tono ironico. Cose che
la futura mamma ha saputo solo dopo la loro attuazione, giustamente
impegnata a farsi valere tramite vie sindacali e a distrarsi dal
sentimento di abbandono e sfiducia che provava nei vostri confronti per
tentare, nonostante tutto, di vivere serenamente quel momento tanto
importante e delicato quale è la gravidanza.

Ci siamo anche
impegnati a parlare direttamente con alcuni membri della vostra
cooperativa. Privatamente esponevano dubbi e a volte sdegno nei
confronti di certi metodi e di una precisa direzione intrapresa dalla
vostra dirigenza
. Ma quello che più ci ha impressionato è stato che le
stesse persone parlavano a condizione che non fosse resa pubblica la
loro identità , fatto molto grave, riscontrabile solo in situazioni di
dipendenza da piccola impresa. Queste persone insomma si sentono
vittime di un complesso meccanismo di ricatto (comprendi, ho famiglia…
potrebbero rendermi la vita impossibile… ecc).

Lo schierarsi
col più forte
anche se scorretto, l’omertà , il silenzio di fronte alle
ingiustizie e ai disagi sono sintomi evidenti.

Un’altra forma
di discriminazione sulla maternità  l’abbiamo riscontrata nella recente
decisione di dividere gli utili della cooperativa in base alle ore
effettivamente eseguite: com’è possibile, ci chiediamo noi, che
maternità  e malattia (che auspichiamo onesta), momenti tanto delicati
dell’esistenza, possano divenire oggetto di discriminazione?

Tali sono i metodi che attualmente si applicano in quella che viene
definita “l’ottica imprenditoriale”, quell’ottica che (a differenza
delle altre cooperative “rosse e bianche” torinesi che conosciamo, ti
manda i controlli a casa appena sei ammalato allo scopo di farti
“rigare dritto”, quell’ottica che si nutre di precariato abusandone fin
quando gli è possibile, allo scopo di incentivare il rendimento creando
differenze tra i lavoratori, indirizzandole, di fatto a coltivare
ognuno il proprio orticello astenendosi da quello spirito di
solidarietà  che solo può aiutare i lavoratori, gli uomini in generale e
gli stessi utenti.

La verticizzazione dei poteri nel CDA
(espropriati quindi alle equipe), snatura la cooperativa che diviene
luogo qualsiasi di sfruttamento (neanche 900 euro al mese, notti e
turni non pagati ai confini della stessa contestata legalità ), il socio
diventa un dipendente ordinario, ricattabile, aggrappato al proprio
misero posto di lavoro, non più attivo e propositivo, se non
superficialmente, nella gestione del lavoro e quindi della cooperativa,
si accontenta di poche centinaia di euro ottenute dalla penalizzazione
di qualcun altro per illudersi che così va tutto bene e rieleggere alla
direzione le stesse persone arroganti e manipolatrici.


Ogni
dissenso si risolve in voci di corridoio
, succube di promesse di
maggiore e migliore lavoro (per lo più non mantenute), di simpatie e
antipatie personali, di favoritismi e amicalismi, deve anche fare buon
viso agli amministratori in carica. L’importante è che non disturbi,
che si sottoponga alle direttive, non importa se giuste o meno (come
nel caso della nostra amica), il gruppo (in realtà  agglomerato di
individualisti) svilupperà  sempre un’autogiustificazione: “è normale,
il mondo và  così…”

Ma proprio questo disgustoso meccanismo,
indotto dall’esterno, dalle condizioni che ci vengono poste da chi ci
vuole automi stacanovisti, che induce competitività  tra i lavoratori
creando le differenze e che li vuole meglio sfruttare annunciando tempi
migliori, cioè “l’andazzo generale”, rende tutti complici di tale
disgregazione. Quando il mercato del lavoro assume un volto disumano
non è forse giunto il momento di porsi qualche domanda?

Sempre, ma in particolar modo per quel che riguarda il lavoro col
disagio
, siamo convinti che sottomettersi supini a certi meccanismi
vigenti nel mondo del mercato-lavoro porta, come già  possiamo
osservare, solo alla mortificazione delle persone-lavoratori a spese
della qualità  (ma non della quantità â€¦) del servizio offerto con
conseguenze disastrose per utenti e operatori.

Ma certo, tutto il mondo va così, non c’è mai peggio al peggio…

Ci rendiamo conto della problematicità  di dare un equilibrio agli
interessi di chi lavora, utenti e cooperativa, ma fatti come quello
accaduto alla nostra amica e altri emersi dalla nostra ricerca, a cui
accenniamo in questa lettera, sono segnale molto, molto triste.

Oggi tutto questo è capitato a una vostra collega, un domani potrà  capitare a voi, o magari a vostra figlia.

A pochi giorni dalla nascita della bambina ribadiamo la nostra
solidarietà  alla nostra amica, per un presente e un futuro a misura
d’uomo (e non a misura d’impresa) e prendiamo le distanze da tutti
quegli atteggiamenti che nel miope tentativo di tutelare solo la
propria dimensione personale creano di fatto disgregazione sociale e
dramma individuale.

Lei vedrà  una nuova vita sbocciare a cui
accudirà  nonostante il vostro squallore, a voi un centinaio di euro in
più alla chiusura dell’anno.


Gli amici di Sara, i nemici del padrone.

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