Lezioni per i giornalisti

Licenziamenti a La7 e alla Gruner und Jahr. E Polis non esce

Si dice che le buone notizie, come le disgrazie, non vengano mai sole. Effettivamente, nel giro di pochi giorni il mercato editoriale italiano ha assistito a un susseguirsi ravvicinato di situazioni gravi ed esemplari che hanno messo in agitazione la categoria. D’altro lato, esse aiutano a capire che cosa devono aspettarsi nel futuro i giornalisti. Questi episodi diversi, mostrano infatti alcune radici comuni piuttosto istruttive.

Cominciamo con La7, in stato di agitazione in questi giorni per il piano di riorganizzazione presentato dalla proprietà, Telecom Italia Media che prevede il licenziamento di 25 giornalisti su 88, vale a dire quasi un terzo dell’organico, e il blocco dei contratti a termine. Si può notare volendo, che La7 è l’unica alternativa esistente, sul territorio nazionale, alla Rai, la tv pubblica controllata dal Governo del premier, Silvio Berlusconi, e alla tv commerciale, di proprietà del premier, Silvio Berlusconi.

Si continua passando alla Gruner und Jahr Mondadori S.p.A, dove abbiamo il licenziamento indebito e improvviso (dalla sera alla mattina, via telefono) di un giornalista di Geo, benché in presenza di un progetto di rilancio della testata. Tutto questo all’interno di un’azienda in utile, proprietaria di altre testate, con conto economico positivo come Focus e Focus Storia, e partecipata al 50% dal Gruppo Mondadori (che ha 40 testate ed è il principale editore di periodici italiano).

Proseguono, infine, le pene di E Polis. A causa della eterna incertezza del piano editoriale, il direttore ha ritirato la firma e il quotidiano ha sospeso le pubblicazioni. Una storia di tormenti che pare senza fondo. Pochi mesi fa E Polis era passato dalle mani di Niki Grauso, fondatore della testata, a quelle del nuovo proprietario Alberto Rigotti, finanziere, informatico, fine teorico del telelavoro. La redazione si era già fermata nell’estate del 2007, poi era scattata la cassa integrazione per oltre 130 giornalisti. Da segnalare, nel 2008, anche un breve passaggio di Marcello dell’Utri nella torre di controllo del giornale.

Questi i casi, da cui traspare il lucido disegno degli editori. E’ un messaggio ricattatorio, guarda caso proprio quando le trattative sulla vertenza contrattuale sono riprese, dopo la pausa estiva. Spaventando le redazioni, si cerca di incoraggiare la digestione della pietanzina che sta per essere apparecchiata dalle parti: zitto e mangia, è un brodino fetente ma conviene sorbirlo, vorrai mica fare la fine dei colleghi de La7? Insistere dunque sull’incertezza sistemica, gonfiare la crisi del settore, montare la paura di obiettare, far abbassare la testa attraverso parabole formative ed esemplari che insegnino il timore della perdita improvvisa del posto, vale a dire la fragilità dei contratti di lavoro a tempo indeterminato e delle leggi.
Altro elemento importante. Tutto questo avviene, non casualmente, dopo una maledetta primavera passata dagli editori a piangere sulle loro crescenti difficoltà, mentre crollano le borse e Wall street è a un passo dalla crisi di nervi. In Italia, sicuramente, oggi il debito maggiore tra gli editori è quello del gruppo Rcs, superiore a quello de L’Espresso o del gruppo Mondadori. Ma in generale, gli aumenti di redditività delle case editrici, negli scorsi anni diversamente da ora, sono stati pingui e tratti più dagli scambi e dalle speculazioni in borsa – dalle plusvalenze – che dalle diffusioni dei giornali e dalle innovazioni di prodotto. Una vera e propria rendita, ottenuta senza quasi muovere un muscolo, farsi venire un’idea, osare una qualche nuova iniziativa. Oggi che, pur mantenendosi i risultati positivi per la maggior parte delle case editrici, non si prevedono più i deliziosi rendimenti a cui ci si era abituati grazie ai meccanismi della finanziarizzazione – tenuto conto, poi, che il mercato pubblicitario è problematico per via della sua stessa crisi e di una forte ciclicità – è molto probabile un bagno di sangue tra i lavoratori del settore. Per fare un esempio, il titolo Rcs in Italia, gonfiato a dismisura durante l’era della scalata Ricucci e di Colao, ha sottoperformato a partire, almeno, dall’ottobre del 2007.

 
Come uscirne? Come garantire agli azionisti se non i compianti dividendi di un tempo qualcosa che, almeno, si avvicini un po’? Con la pelle degli altri, ovvero quella di chi lavora per loro, come dimostrano, forte e chiaro, i primi segnali trasmessi. Ricetta classica, sperimentata, d’effetto.

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