Precarietà, condizione generalizzata

Liberazione – 10 ottobre 2010

Oggi la precarietà è sempre di più oggetto del dibattito politico e della rappresentazione mediatica. Non c’è programma di approfondimento della televisione in cui non si faccia riferimento alla problematica. La crisi economica e finanziaria globale, inoltre, accentuando il processo di precarizzazione, ha incrementato l’attenzione su questo fenomeno.

La precarietà, infine, è stata al centro di racconti letterari e di film. In altre parole, è finito il tempo in cui la condizione di precarietà era considerata marginale, congiunturale e irrilevante. Oggi la precarietà – grazie anche alla denuncia della MayDay milanese e alla diffusione dell’icona di San Precario – è a tutti gli effetti rappresentativa della moderna condizione del lavoro. Tuttavia, nell’immaginario mediatico e politico, la precarietà si traduce troppo spesso in una semplice narrazione: la narrazione di una situazione sfortunata, misera, emergenziale. Eppure la precarietà è oggi l’emblema della condizione lavorativa del capitalismo contemporaneo: è strutturale, esistenziale e generalizzata. Strutturale perché incarna la condizione del lavorio moderno, individualizzato, frammentato, deregolamentato; esistenziale, perché oggi tra vita e lavoro la differenza è sempre più sottile; generalizzata, perché anche chi ha un contratto di lavoro stabile, garantito dallo Statuto dei Lavoratori, di fatto è potenzialmente e psicologicamente precario. La condizione di precarietà è una condizione di paura/ricattabilità e allo steso tempo di illusione, percepita in modo differenziata e differenziata. La precarietà, infatti, indica una condizione, non una classe. Non basta denunciare le varie forme di sfruttamento che si celano dietro la condizioni di precarietà, così come oggi viene fatto, perché si riesca a mettere in moto un processo sociale e politico in grado di portare al superamento della precarietà. La semplice e sola denuncia della precarietà oggi non è più sufficiente, così come sono spesso del tutto impotenti e inefficaci i tradizionali strumenti di lotta sindacale. Gli Stati Generali della precarietà che si sono aperti ieri a Milano, raccogliendo la partecipazione di molte realtà del lavoro e di movimento italiane e europee, intendono proporre una nuova strategia progettuale sul tema della precarietà. Essa si articola principalmente su due piani: a. la proposta di un welfare metropolitano, fondato sulla continuità incondizionata di reddito, il libero acceso ai beni comuni e l’introduzione di una salario minimo per il lavoro non contrattualizzato; b. un azione biosindacale che vada a colpire i gangli scoperti delle imprese precarizzatrici, sia tramite l’azione giudiziaria sia tramite azioni dirette antagoniste, di comunicazione e subvertising (“precarizza il precarizzatore)”, così da permettere un potere contrattuale superiore ai tradizionali strumenti sindacali. La manifestazione del 16 ottobre organizzata dalla Fiom ma aperta ai movimenti sociali è sicuramente una buona occasione ma deve anche avviare in contemporanea una proposta in materia di welfare e precarietà, ovvero reddito e lavoro. Altrimenti, è sola testimonianza.

Andrea Fumagalli

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