Reddito o Libertà? Il ricatto della Crisi

Governo e partiti, economisti e giornali si lanciano all’attacco dell’articolo 41 della Costituzione, quello che traccia le linee guida dell’economia italiana. Nelle stesse ore gli operai campani della Fiat di Pomigliano d’Arco vivono ore drammatiche: se non accettano le dure condizioni imposte dall’azienda e sottoscritte da Cisl e Uil, l’azienda è pronta a chiudere la fabbrica, trasferire la produzione all’estero.
Marchionne chiede agli operai di accettare: malattia non pagata, pausa mensa spostata a fine turno, l’aumento da 40 a 120 ore di straordinario obbligatorio, il taglio delle ore di riposo tra due turni, il licenziamento in caso di sciopero. Deroghe pesanti al Contratto Nazionale di categoria, leggi contro la Costituzione della Repubblica Italiana.

Costituchè?
E’ incredibile che quasi nessuno dei media italiani, tra giornali e TV, colga il legame tra queste due vicende.
‘Un articolo datato come tutta la Costituzione’ afferma il segretario della Lega Nord, ‘L’articolo 41 è troppo sbilanciato in favore dei lavoratori’, risponde il ministro Sacconi con il consenso tra gli altri del ministro degli Esteri Frattini e del portavoce del conservatori cattolici lombardi Maurizo Lupi. Il Capo del Governo invece, sfruttando i palchi dei convegni nazionali di Federalberghi e Confcommercio, attacca tutta la Costituzione: ‘Rende impossibile fare delle leggi incisive, è da cambiare completamente tutto l’assetto’. Tremonti dal pulpito trentino offerto dalla Cisl, dopo essersi scagliato contro i controlli alle aziende e la burocrazia, fa sue le scelte di Fiat definendole ‘economia sociale di mercato’.

Dignità, libertà, sicurezza
Prima di snaturare il significato di un articolo fondamentale, frutto di un sofferto dibattito all’Assemblea Costituente del 1946, vediamo di cosa si tratta. Dice che l’iniziativa privata è libera ma che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, non può recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. Poi continua affermando che la legge determina programmi e controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Compromessi e complicità
Queste parole sono il risultato di un compromesso accettato anche da liberali e Confindustria, dai conservatori e dai monarchici. Ovvero i complici e i finanziatori di un regime che portò, meno di 70 anni fa, alla devastazione di tutto l’apparato industriale italiano e all’invasione dell’Italia.
Le parole dell’articolo 41, già largamente disattese, nascondono 20 anni di soprusi e punizioni, di libertà negate e diminuzione dei salari. Troppo evidenti le responsabilità a pochi mesi dalla fine della guerra, troppo recenti le colpe di tutta la classe dirigente italiana, per non accettare una forma di ‘riparazione’ seppur solo formale. Infatti subito dopo l’occupazione nazista, quasi tutti i dirigenti e gli industriali delle fabbriche italiane, Ercole e Magneti Marelli, Pirelli, OM, Magnaghi, Fiat e Falk inviarono le liste degli operai ‘sovversivi’ alle SS e ai fascisti. Le delazioni contro gli scioperanti continuarono in alcuni casi come alla Caproni di Milano, fino al marzo del 1945, a pochi giorni dalla Liberazione operai venivano torturati, imprigionati, per essersi opposti con scioperi e sabotaggi, alla barbarie.

Perchè lo sciopero…
Un solo episodio dei tanti che contribuirono a scrivere quell’articolo della Costituzione basti a spiegarne il significato.
Alla Breda di Sesto San Giovanni nel dicembre 1943, dopo il primo sciopero, arrivò addirittura il ministro dell’industria Walter Funk, un liberista di ferro che insieme al generale Zimmermann, comandante delle SS per la Lombardia, cercò di piegare la resistenza operaia. Oltre 200 soldati coi mitra spianati accompagnavano con minacce e provocazioni le facce bianche degli operai che non si lasciarono intimidire. Meno di 10 su 250 rimasero in fabbrica. Il blocco della produzione di materiale bellico di tutto il Nord Italia inferse un duro colpo ai tedeschi. Il giorno dopo, mancavano due settimane al Natale, nelle case di quegli operai le madri e le mogli preparavano i poveri alimenti preservati, in un periodo di pesanti privazioni alimentari, per le festività. Alle 5, 5.30 e alle 6 oltre 200 operai molti dei quali poco più che ventenni furono prelevati dai loro letti, mentre erano ancora addormentati, prima dai Carabinieri di Monza, e condotti nel carcere vecchio, per non destare sospetti. Poi coi vagoni piombati fino a Dachau, Bergen-Belsen, Mathausen dove trovarono quasi tutti la morte tra innumerevoli supplizi.

Il dovere dell’azione
Oggi dopo 67 anni, l’attacco coordinato contro l’articolo 41 della Costituzione e il diritto di sciopero, è il più grave e carico di conseguenze che il popolo italiano si trovi ad affrontare dal 1945 ad oggi.
La sua negazione compromette l’anima stessa dell’Italia, le sue fondamenta. Perché non tocca solo i diritti di 4500 lavoratori FIAT, come vorrebbero farci credere Tv e giornali, ma mina le basi stesse della democrazia e gli equilibri sanciti nella Costituzione.
‘Dignità umana’,‘Sicurezza’, ‘Libertà’: le parole dell’articolo 41 non sono dettate da qualche economista d’accatto o da politici al soldo di interessi finanziari stranieri, ma dal sacrificio di migliaia di Italiani che le scrissero con la loro vita.
Che questi vili attacchi giustificati ipocritamente dalla ricerca di una finta modernità e di un falso progresso, rimbombino come un suono secco di allarme alle orecchie degli italiani ancora liberi.

Svelare la truffa dell’immagine
Oggi, a differenza che 70 anni fa, non c’è nessuna produzione bellica da fermare e gli scioperi spesso sono diventati un regalo alle imprese, una formidabile occasione per fargli risparmiare stipendi. Molti prodotti vengono realizzati all’estero. Perché allora questo accanimento contro il diritto di sciopero? Quali sono le armi con le quali affrontare questa nuova sfida?
Oggi le imprese non producono più solo oggetti. Allora si che bloccarne la produzione poteva metterle in difficoltà. Ma oggi i loro profitti sono determinati soprattutto dalla creazione di stili di vita, e pubblicità, produzione di immaginari e consenso assoluto, con il dogma del marketing che si fregia anche dell’epiteto di ‘sociale’ pur di speculare. Ma questa finzione non può essere disturbata né da scioperi né da azioni che ne svelino la cruda realtà.
E’ proprio lì che dobbiamo agire con determinazione. E’ quello il campo in cui creano valore che si traduce in più consumi, in più superficialità e meno capacità di critica da parte della popolazione. E’ solo svelando il marcio nascosto dietro il cerone della rispettabilità che si possono sconfiggere. Boicottandone le campagne pubblicitarie. Disertandone gli eventi. Comunicando a tutti le vergogne di cui si rendono responsabili: i bassi salari, lo sfruttamento di precari e migranti, gli affronti alla dignità umana e alla sicurezza, la negazione della maternità per le lavoratrici, l’impoverimento della popolazione e dei territori. Non lasciamo che aziende e banche usino la crisi per imporre un dominio assoluto fatto di instabilità e mutui, tagli allo stato sociale e al nostro stesso futuro.
Non basta solo saper comunicare, boicottare le idee, sabotare gli strumenti dei dominatori del quotidiano.

Esempio quotidiano
Serve l’esempio di ognuno di noi nella sua vita, nel posto di lavoro, in tutti i giorni. Serve un senso del dovere da compiere che superi le divisioni e le differenze politiche perché è in gioco il futuro dell’Italia. Ma non quella patriottarda e becera che ci viene venduta da anni, diretta discendente della disfatta dell’8 settembre, fatta di mercenari al soldo di potenze straniere ma l’Italia di un popolo che non ha mai subito in silenzio nessuna resa.
Di fronte a noi non ci sono delle ridicole immagini televisive e nemmeno le pagine di giornali ricche di argomenti futili, ma i degni successori di una classe dirigente che ha provocato, solo 60 anni fa, la distruzione dell’Italia.
Codardi e speculatori che mentre vendevano il paese, portavano oro e valuta al sicuro in Svizzera. Loro, che hanno riportato al di qua delle Alpi gli stessi nemici del Risorgimento, ricacciati dopo oltre un secolo di lotta. I nipoti dei massacratori delle Cinque Giornate di Milano, gli assassini dei liberali napoletani, i sadici eredi di Radetsky e Haynau, i torturatori di Menotti e Amatore Sciesa, di Silvio Pellico e del Confalonieri.

Il nostro Risorgimento

E’ vecchia la Costituzione? Sì e ne siamo orgogliosi, ma è una giovanissima vecchia. La sua età non può essere paragonata con la breve misura di una generazione di uomini. E’ come un grande e ombroso platano che sfida il tempo e affonda le sue radici centenarie nelle prime lotte Risorgimentali e negli Statuti del 1848. Sotto le sue fronde sono state scritte le sacre parole della Costituzione Romana, forgiata nel pensiero di Mazzini, e difesa con le baionette da Garibaldi e Manara, dai volontari toscani lasciati scannare a Curtatone e Montanara. Un albero forte che ha sofferto durante i 20 anni di regime, ma che non è mai rinsecchito, ed ha continuato a germogliare grazie alla linfa della Liberazione.
Quando vi dicono che la Costituzione è vecchia, preparatevi a difenderla coi denti.
E’ l’unica ma preziosa eredità che abbiamo: la nostra libertà.

Stefano Mansi

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