San Precario incontra il Frente Popular Darío Santillán

Introduce Blicero:
Sebastian e Claudia sono due compagni argentini appartenenti a diverse organizzazioni popolari.
Hanno portato dei video di alcune mobilitazioni del Fronte Popular Dario Santillian (che era un compagno di un coordinamento di disoccupati ucciso dalla polizia il 26 giugno 2002) che spiegano alcune esperienze di lotta.
Sono video di meno di dieci minuti specifici sulle mobilitazioni.
La richiesta di Sebastian e Claudia è di avere uno scambio di pareri e idee su quello che succede qui e in argentina nell’ambito dei movimenti popolari.
Loro parlano di movimenti popolari noi parliamo più di organizzazioni politiche la differenza è ovvia ma cercheremo di spiegarla meglio in questo incontro.

Sebastian:
Cominciamo con un video che riguarda un aspetto territoriale dei nostri movimenti, un aspetto caratteristico delle mobilitazioni in Argentina. come Fronte Popolare Dario Santillian l’aspetto territoriale è il più innovativo, iniziato alla fine degli anni novanta con i movimenti dei disoccupati che vengono da una lunga tradizione di movimenti sindacali; si iniziò a organizzare le persone non a partire dal posto di lavoro ma a partire dai territori in cui vivevano. I movimenti per i lavoratori disoccupati erano una delle forme più innovative di movimento sociale che inizia a coordinarsi con un lavoro proprio sul luogo di vita, il video spiega molto bene quale era la forma di lotta più usata e più forte, il blocco stradale e il picchetto sulla strada, una forma di lotta che si sviluppa a partire dalla chiusura delle grandi fabbriche. Il picchetto più esplosivo è avvenuto a General Mosconi nel nord del paese blocchi anche molto determinati con grossi scontri che bloccarono tutto.
La forma di lotta si è diffusa a tutte le organizzazioni e a tutte le sezioni sociali ed è quello che ha fatto esplodere il conflitto in tutta Buenos Aires; tutti hanno usato questa forma di lotta per i propri obiettivi, uno dei quali era ottenere i sussidi di disoccupazione (diversi dagli italiani ma le differenze ora non sono importanti) e ciò che serviva, dal cibo ai materiali da costruzione, per le mense popolari, per costruire centri di educazione per i ragazzi insomma un piano rivendicativo che puntava a realizzare strutture territoriali che servissero di base per ulteriori radicamenti. Si somma poi l’altro piano, quello di organizzare da subito un forma assembleare paritetica in cui si rompono i ruoli, si condividono i ragionamenti e si decidono insieme forme modi e tempi della lotta. questo è stato un elemento forte di rottura con la storia decennale di movimenti con un approccio verticale di gerarchie e apparati: le assemblee di quartiere in una dimensione collettiva e orizzontale che si e poi sviluppata non solo nei movimenti a cui loro partecipano ma si è anche diffusa in altri ambiti.

(Primo video):
Uno degli obiettivi era anche la liberazione dei prigionieri.
Si realizzano dei momenti di discussione sul concetto di potere popolare.
La lotta alimenta i legami col territorio se chiede cose che al territorio servono.
I comitati spesso occupavano terreni (in città o alla periferia) per costruire case orti o altre strutture che aiutassero le organizzazioni popolari, un sorta di welfare dal basso.
“Se stiamo a casa non otterremo mai nulla”, parte l’applauso.

Claudia:
Il video si riferisce al 2009.
Alla fine del 2009 il governo ha lanciato un nuovo piano di sussidi ma non come forma di appoggio a chi ha bisogno, bensì
un programma di impiego per cooperative sostanzialmente clientelare. Noi volevamo invece che anche le persone delle organizzazioni popolari potessero accedere, secondo il bisogno non secondo criteri clientelari, allora abbiamo fatto il “plan de lucha”, e una delle forme più forti è stato l’accampamento che ha bloccato la Avenida 9 de Julio, la strada più grande del mondo, una delle principale arterie di traffico di Buenos Aires. Ci sono 3 o 4 semafori per attraversarla tutta, è larghissima.
Si decise di fare il blocco anche sapendo che era difficile per che era importante colpire duramente per vincere. Quando si era pochi eravamo 300 restammo per 40 ore; uno di loro è stato arrestato e si è rimasti fino a che non è stato liberato perché la tutela dei chi partecipa è una delle cose più importanti.

Secondo video:
Il blocco vede la presenza di bambini strumenti musicali striscioni.
Dopo le 32 ore si è chiuso un accordo col ministero che ampliava il programma di sussidi perché nessuno restasse escluso dal piano.
Età media bassa, con lo slogan “lavoro dignità e cambiamento sociale”.

Terzo video:
Riguarda la zona di Lujan lontana da Buenos Aires ma le necessità e le forme di lotta sono le stesse. Oltre ai progetti di mensa popolare eccetera ora stiamo cercando di costruire case sui terreni occupati.
È stato importante non solo per aver occupato e resistito, occupare in Argentina é difficile, ma anche perché questi territori sono proprio le zone
in cui c’è il meccanismo delle enclave dei ricchi, quartieri interi in cui gli abitanti si chiudono dentro, sorvegliati da servizi privati paramilitari, questi sono conflitti diretti con questo nuovo modello di proprietari terrieri.
Nel conurbano (hinterland) chi sta in queste fasce periferiche è nel pieno di questo conflitto: nel Lujan un quarto del territorio è occupato da questa specie di ranch per ricchi.
La difficoltà del conflitto diretto si è sommata al fatto che volevamo anche costruirsi la casa per dimostrare che non solo si rivendica ma anche che è possibile ottenere un risultato concreto.
Lo scorso anno sono state costruite 15 e ora si faranno altre 20 case.

Domanda:
Come si prepara un blocco di 40 ore? Come si coinvolgono le famiglie con i bambini, come si vede nel video ce ne sono moltissimi, cosa si e fatto? si sono dati volantini casa per casa?

Sebastian:
La decisione di occupare la strada è stata presa durante le assemblee delle singole organizzazioni con l’obiettivo comune di andare contro il governo.
Dalle singole organizzazioni si è fatto un coordinamento con dei rappresentanti che ha partecipato alla costruzione della giornata.

Claudia:
Bisogna capire come sono nati i movimenti dei disoccupati. Nella storia della Argentina la disoccupazione dilaga alla fine degli anni novanta: le famiglie hanno seri problemi di denutrizione a causa del 30 per cento di disoccupazione. Nella provincia del Tucuman si è arrivati ad avere 27 bambini morti per denutrizione. Ovviamente i primi ad andare in strada sono stati i lavoratori licenziati dalle fabbriche che si sono ritrovati da un momento all’altro senza stipendio; a questi si sono sommate le persone che poi si sono organizzate nei movimenti dei disoccupati ma che provenivano da organizzazioni militanti che prima facevano mense popolari o scuole o altro che poi sono confluite in questo movimento più vasto.
Queste piccole organizzazioni iniziano a andare in strada per avere più visibilità; ovviamente c’è stata una certa misura di militanza; le protagoniste sono state le donne delle mense ma la struttura fondamentale è stata la assemblea che ha fatto si che le persone che arrivavano si trovassero in una dimensione collettiva di decisione e di comprensione degli obiettivi comuni e della importanza di essere uniti per raggiungere questi obiettivi.
Per spiegare come funziona il fronte: l’elemento della democrazia di base è fondamentale quello che si cerca di accudire con più cura perché è un momento formativo tanto quanto i momenti di lotta senza questi elementi non esisterebbe il fronte.

Sebastian:
Abbiamo cercato una convergenza con studenti medie universitari con i movimenti femministi o sulle questioni ecologiche e ambientali perché ci siamo resi conto che i movimenti dei soli disoccupati dei lavoratori che avevano perso il posto con la crisi non avrebbero avuto la forza di ottenere nulla.
Tra le convergenze anche quella con i migranti: anche in Argentina c’è un milione di cittadini della Bolivia e del Paraguay. Si è cercato questo asse di lotta su quello che definiamo come noi precarietà di vita. Vita come forma di base del capitalismo che caccia milioni di persone in una condizioni di vita-spazzatura, senza altre prospettive che la precarietà nel lavoro, la disoccupazione o una reintegrazione nel mondo del lavoro in forme precarie come lavoro nero o terziarizzazione, contratti a progetto eccetera.

Piera:
Nel nostro tentativo di organizzare esperienze di lotta che si stavano precarizzando, la difficoltà maggiore è stata proprio questa. Fino a che la lotta è stata specifica di quella azienda riuscivi a portarla avanti o anche a unire due o tre realtà di quel territorio. Appena inizia la cassa integrazione o la chiusura diventa difficile ritrovarsi, ognuno si rinchiude nel proprio privato. La difficoltà è proprio che se le persone non vedono speranza di soluzione della propria specifica situazione lavorativa, non si muovono; la difficoltà sta nel far vedere la importanza di organizzarsi comunque su temi più generali.
Una altra difficoltà deriva dal fatto che le persone che lavorano non sono legate al quartiere. Il lavorare in un posto non vuol dire che che ci vivi, quindi la frammentazione diventa difficoltà di incontro.

Stella:
In Argentina fanno le assemblee sul “potere popolare” e qui non si riesce nemmeno a far capire a chi sta in un posto di lavoro in crisi che la lotta della fabbrica a fianco è uguale alla sua.

Claudia:
Stiamo dibattendo questo tema: non si può possono analizzare i lavoratori con le categorie classiche operaie e sindacali perché non funzionano. Per noi è stato fondamentale che le organizzazioni partecipanti fossero multi-settoriali, abbiamo subito aperto gli occhi sulle caratteristiche trasversali delle forme della precarietà per noi non c’è stato il percorso che va dal posto di lavoro alla casa dalla casa al posto di lavoro e viceversa ma le attività comunitarie si sono trasferite in strada e sulla strada si sono incontrati studenti, lavoratori, disoccupati e nella strada si è sviluppata una dimensione collettiva comunitaria che ha rotto la dicotomia tra casa posto di lavoro luogo di studio eccetera.
Le persone si sono incontrate in strada e hanno trovato la dimensione collettiva. Ci si sta organizzando come precari ma cercando di far convergere le esigenze dei precari verso obiettivi comuni a tutte le categorie, con rivendicazioni chiare, decise dal basso e molto chiare come la sicurezza sociale che dovrebbe essere data a tutti e non solo ad alcuni settori.

Blicero:
E’ la stessa cosa che stiamo cercando di fare noi con la proposta di reddito incondizionato che consenta di sottrarsi al ricatto – reddito al posto di sussidi di disoccupazione.

Ale:
Ma usate il termine precarietà perché lo usano nel vostro dibattito o perché state parlando con noi.

Sebastian:
Non è un termine che usavamo all’inizio, dato che venivamo dai movimenti dei disoccupati ma negli ultimi anni lo usiamo perché è un termine che unisce, unifica il tema della disoccupazione con il tema della qualità della vita che la precarietà imposta dal liberismo mette fortemente in discussione.

Blicero:
Il termine precarietà qui si è dovuto sostanzialmente imporre: tutti parlavano di flessibilità come aspetto positivo e liberatorio. nei primi anni del nostro lavoro il nostro dibattito e le nostre azioni si sono dovute concentrare sul tentativo di far comprendere la centralità del tema.

Sebastian:
Come Fronte Dario Santillian abbiamo 4 assi che convergono:
i disoccupati
i sindacalizzati
gli studenti
e ora stiamo iniziando con i lavoratori rurali, i campesinos che sono una cosa diversa dai contadini come li intendiamo noi.
Il campesino è un nativo che lavora la terra per sopravvivenza e non come fonte di reddito.
Dove si sente di più la discussione sulla precarietà è l’ambito dei sindacalizzati dove noi abbiamo cercato di contrastare la visione classica dei sindacati, che non considera affatto quel oramai 60 per cento di precari che nel concreto non sono e non possono essere coinvolti dalla sindacalizzazione classica.
Per noi questo confronto è molto importante perché ci si sta chiedendo come organizzare un soggetto che non ha un territorio di riferimento ed e sempre più frammentato.

Frenchi:
A Firenze un collettivo-rete di disoccupati mi chiedeva come i disoccupati si possono inserire nelle lotte sulla precarietà.
Hanno detto che non esiste un luogo, la fabbrica di vecchia memoria, in cui centrare una controffensiva verso i diritti.
Faccio una battuta: non è vero che chainworkers vinse la battaglia sulla precarietà da sola. Abbiamo collaborato col collettivo “il capitale”! E’ stato il capitale che in maniera sistematica ha distrutto ogni tipo di riferimento tradizionale. Questo per dire che esiste un “luogo” in cui lottare. Possiamo girarci attorno: noi vediamo la polizia, poi c’è lo stato e dopo c’è il capitale. Ma è quest’ultimo l’unico luogo su cui si può fondare una offensiva che, partendo da un punto di vista precario, possa essere efficace: è il profitto che il capitale produce. Questi si arricchiscono e noi dobbiamo impoverirli: nel senso che nella loro logica di impresa fatta di costi e benefici la precarietà deve diventare per loro un costo non sostenibile.
Solo cosi possiamo pensare a politiche più generali di re distribuzione del reddito. “Sabotaggio” è la parola giusta da usare.
Mi dicono che in Argentina molte realtà auto-organizzate di autogestione nelle fabbriche hanno avuto esperienze di autogestione non temporanee ovvero non legate alla crisi; in Italia abbiamo provato a legarci alle fabbriche in una ottica di riconversione cooperativa ma gli operai non hanno neanche preso in considerazione la cosa.
La sconfitta degli operai si evidenzia nel fatto che la loro vittoria consisteva nell’avere un nuovo padrone (vicenda INNSE). Almeno chi vive nella precarietà lo sa perfettamente che cambiare padrone non cambia nulla, dal punto di vista precario si capisce che cambiando padroni il risultato non cambia.

Piera:
In questo ha influito anche la possibilità della cassa integrazione, questo li ha distratti dalla lotta.

Frenchi:
Ma la cassa integrazione vale solo per il 20 per cento dei lavoratori (non tutti hanno la possibilità di accedervi).

Piera:
La cassa integrazione è stata usata anche come disincentivo rispetto alle lotte: se pensi a una cooperativa di autogestione non ti danno la cassa integrazione. Se devi fare i conti col bilancio familiare ovviamente la scelta della maggioranza è facilmente intuibile.

Marcello:
Questo vale solo per le aziende medio grandi e in Italia le medio piccole aziende sono la stragrande maggioranza e non sono coperte dalla casa integrazione.

Marcelo:
Nel 2009 in Lombardia ci sono state 325 mila richieste di cassa integrazione.

Claudia:
L’anno scorso abbiamo fatto un bilancio delle lotte e dei modi per attaccare il capitalismo: la questione è tenere insieme lotte diverse. Le lotte dei salariati sindacalizzati hanno pure il problema delle squadracce dei sindacati gialli che hanno livelli di aggressività altissimi, sono arrivati all’assassinio di un militante (Mariano Ferreira).
Quelle dei disoccupati sono esperienze più deboli ma sono uno dei luoghi da cui si può colpire il capitalismo.
Abbiamo cercato un collegamento anche con studenti sia medi che universitari e con i movimenti sulle tematiche ambientali.
Per esempio quelli sulle le miniere a cielo aperto che usano acqua di interi territori come nel Tucuman.
Il capitalismo non è distruttivo solo dal punto di vista economico ma anche da quello ambientale oltre che sul sistema sociale umano ecco perché è importante tenere insieme questi livelli.

Frenchi:
Per precisare questo punto se parliamo di profitto non intendiamo un piano economico ma culturale. In questo senso la complessità dei piani di lotta è necessaria. Non si tratta di fare un picchetto ad una fabbrica, quello è un piano economico, ma si tratta di disgregare, di rompere la filiera produttiva che passa attraverso lo sfruttamento del lavoro ma anche del territorio e della vita e dell’ambiente. Sulle squadracce: mi piacerebbe pensare che le squadracce dei sindacati gialli sono un problema sudamericano ma giusto qualche giorno fa Guaglianone è stato eletto nel collegio sindacale di Fiera, stiamo parlando di un fascista che fa pure da collegamento con la ndrangheta.
Proposta: creiamo un collegamento diretto con le esperienze degli argentini con gli strumenti di comunicazione che usiamo. Penso proprio alla home page dei nostri siti sugli sugli elementi significativi che parlano di un linguaggio comune ai due mondi, quello americano e quello europeo. Perché è impressionante che mi trovi d’accordo con tutto quello che è stato detto ma è innegabile che il piano della analisi non è condiviso né nei nostri territori da tutte le realtà né a livello nazionale.

Sebastian:
La consapevolezza da raggiungere è che bisogna attaccare il capitale da tutti i lati. Il capitale ha lavorato per frammentare la classe, quindi tenere insieme le lotte è importante, certo con la consapevolezza che non tutti i momenti di lotta potranno essere unitario, ma tuttavia sono necessarie alleanze vaste tutte le volte che è possibile. Anche se ognuno ha esigenze diverse e mette in campo e tipi di lotta diversi, abbiamo in comune la necessità di unirci tra tutti quelli che lottano sul piano della dignità umana.
Tutti dobbiamo essere capaci di continuare la lotta uniti.

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