San Precario vs. Precario San

Dialogo tra due santi su precarietà, Popolo viola e destini della generazione precaria
Dal Manifesto di oggi  (18 giu 2010)

San Precario è il patrono dei precari, nato nel 2004 dal collettivo Chainworkers e da allora protettore della Mayday Parade, il primo maggio dei precari di Milano, e di decine di gruppi di lavoratori e collettivi. La sua storia la trovate su sanprecario.org e le sue lotte su precaria.org. L’altro San Precario è il promotore del No B Day e del Popolo viola. Ha preso a prestito l’identità e l’iconografia del santo e le ha usate per fondare su Facebook un movimento contro Berlusconi. Per distinguerlo lo chiameremo Precario San, dal nome del suo blog: precariosan.blogspot.com. Ecco un dialogo tra i due santi su precarietà, Popolo viola e generazione precaria.

San Precario:
So che hai scelto il mio nome perché conoscevi la mia storia nelle lotte dei precari e delle precarie. Hai anche sempre rispettato la natura libera della mia icona: tutti possono essere me purché non cerchino di privatizzarmi. Per esempio, se un partito mi usasse scatenerebbe la mia ira. Ti è servito chiamarti San Precario? Mi sembra che ti abbia portato fortuna.

Precario San:
Ho scelto il nome San Precario perché riflette la mia condizione e perché la sua storia e la sua icona mi hanno sempre affascinato. All’inizio pubblicavo notizie sulla precarietà. Poi apparvero su Facebook delle pagine intitolate a Totò Riina. E allora fondai il primo gruppo “Fuori la mafia da Facebook”: 170mila iscritti. Poi arrivò l’attacco israeliano a Gaza e anche in quel caso lanciai un’offensiva su Facebook. Ma sicuramente l’icona del Santo ha un suo appeal politico. Molti che mi chiedevano l’amicizia non sapevano nemmeno che esistesse San Precario e il nome li divertiva, soprattutto i più giovani.

SP:
Molti credevano che fossi io. Mi dicevano “siamo amici su FB” ma io non avevo un profilo FB! (Ora ci sono come San Precario e come San Precario Bannato).

PS:
Ehehehe. Comunque sì, mi è servito decisamente. Io oggi su FB, mi chiamo San Precario Revolution.

SP:
Ma perché hai scelto di usare il mio nome per fare una battaglia contro Berlusconi e non contro la precarietà? Per me – che non lo amo di certo – è pericoloso concentrarsi solo su di lui, perché al di là della persona B c’è un gruppo di potere autoritario e mediatico che lo sostiene e che è altrettanto deleterio.

PS:
Non ho risparmiato attacchi a nessuno. Ricordi la vicenda della Merloni? In quella circostanza fondai un gruppo per protestare contro la delocalizzazione dell’azienda e la perdita di posti di lavoro. Bene, alla fine anche il PD prese posizione (la Merloni è parlamentare del PD) e si scongiurò quell’evenienza. E in diverse occasioni ho criticato le scelte del centrosinistra, per esempio il pacchetto Treu.

SP:
Cambio punto di vista: cos’è la precarietà per il Popolo viola? In fondo si tratta della generazione che anch’io ho cercato di rappresentare, e credo che per molti e molte di loro la precarietà sia l’unico orizzonte lavorativo conosciuto. Ma per voi è di una questione importante?

PS:
Il Popolo viola è nato attorno al tema della difesa della Costituzione, che esordisce nel suo primo articolo esattamente con il valore del lavoro quale fondamento della Repubblica nata dalla Resistenza. Il Popolo viola è per la difesa e la valorizzazione del lavoro e dunque per il superamento della precarietà, delle diseguaglianze e di tutto ciò che ostacola la promozione sociale dei cittadini.

SP:
Forza, puoi fare di meglio! Cosa intendi per superamento della precarietà? Per me il fronte del conflitto e dei diritti non è piu solo quello del lavoro a tempo indeterminato. Ormai tutti tendono a essere precarizzati con tagli, esternalizzazioni, cassa integrazione… nei miei Sportelli San Precario i cosiddetti garantiti arrivano piangendo per quello che subiscono. La precarietà è ovunque, non la supereremo tornando indietro.

PS:
Con superamento intendo una prospettiva che ribalti la situazione. Potrei dire abolizione ma il problema non è solo tecnico o normativo ma anche culturale e politico. Come dici tu, il problema non è soltanto stabilizzare chi è precario ma anche non far precipitare nel baratro della precarietà chi fino ad oggi ha avuto un lavoro stabile. Per esempio, la lotta dell’Isola dei cassintegrati sull’Asinara mi sembra importante anche come sfida culturale alla società dello spettacolo.

SP:
Però vedi, io ho partecipato a mille percorsi per uscire dalla precarietà. Ci ho provato in tutti i modi, sin dal 1999, a volte con la spinta della disperazione. Col sindacalismo di base, con alcuni confederali, con cordate politiche di ogni tipo. Spesso le risposte finali erano: ok, assumiamo i migliori di voi. Nel migliore dei casi erano degli inciuci in tipico stile italiano. Ma allora con chi la difendiamo la Costituzione? Sono passati anni dall’ultima volta in cui ho pensato che fosse possibile abolire il lavoro precario. Bisogna riprendere l’idea di civiltà espressa dalla Costituzione e declinarla al di là dei diritti legati al lavoro a tempo indeterminato.

PS:
Andare oltre il lavoro significa puntare alla valorizzazione del concetto di reddito, di cittadinanza per esempio? Forse dovremmo puntare, soprattutto in una fase di crisi, su una rivendicazione più articolata: il reddito a prescindere dal lavoro, dalla produzione. Chi si deve fare carico delle conseguenze della crisi?

SP:
Vedi, cominciamo a capirci. Reddito a prescindere dal contratto, o meglio tra un contratto e l’altro. Non a prescindere da lavoro e produzione, nel senso che spesso produciamo anche come stagisti, come consumatrici, come produttori di idee e saperi da cui poi qualcuno ricava profitti. Chiamiamolo nuovo welfare, un nuovo sistema di diritti. Fatto di reddito e di accesso a servizi e beni comuni anche slegati dal lavoro: scuola, sanità, saperi, mobilità, casa, cittadinanza per i migranti. Cosa ne pensi? Potrebbe essere l’occasione per il Popolo viola per occuparsi di lavoro e precarietà.

PS:
Ma il Popolo viola parla spesso di lavoro e precarietà. In tutte le manifestazioni, a partire dal No B-Day, passando per quella contro il Legittimo impedimento, abbiamo sempre posto la questione sociale al centro. Sui palchi si sono alternate le testimonianze dei lavoratori e dei precari.

SP:
Tu dici “testimonianze” ma io ho smesso da anni di raccontare la sfiga dei precari. Dobbiamo ripartire dalle contraddizioni della produzione, dal capire chi e come fa profitti, e inventare nuovi modi per uscire dalla precarietà. Altrimenti resteremo sempre alla protesta senza proposta, chiusi tra la richiesta irreale del posto fisso per tutti (la sinistra) e la domanda di pazienza perche prima o poi avremo un posto “normale” (i padroni). Ma la precarietà, per chi vive nel mondo reale e non nei palazzi, non lascia intravedere un paradiso che può attendere qualche annetto.
Ecco perché cinque minuti su un palco o una comparsata ad Annovero (che mi chiede sempre di mandare un precario sfigato che racconti quanto è terribile la sua condizione e stop) non mi interessano molto.

PS:
C’è una questione culturale nel Paese dei trucchi e degli inganni, nel Paese degli imbonitori che negano le proporzioni della crisi, che nascondono sotto il tappeto la polvere delle tragedie dovute a un modello iperliberista fallimentare. Non dobbiamo mai stancarci di denunciare e di informare, perché solo una nuova consapevolezza può erodere il consenso che hanno le tesi e le pratiche delle élite. E dobbiamo pensare come uscire dal vicolo cieco in cui un decennio di selvagge politiche del lavoro ci hanno cacciato. Per esempio, pensare a un quadro previdenziale degno per quella generazione che, schiacciata dalla morsa della precarietà, non vedrà un euro di pensione.

SP:
Non uno ma tre decenni di sconfitte ci hanno portato dove siamo ora. La classe politica non capisce le trasformazioni del lavoro, e i precari sono troppo ricattabili per poter rispondere con le mobilitazioni.
Dobbiamo chiedere un welfare adeguato alle nostre vite diverse da quelle dei nostri genitori. Il reddito garantito tra un contratto e l’altro ci darebbe la possibilità di rifiutare un lavoro troppo sfigato o sottopagato. Potremmo immaginare un’uscita dalla precarietà non individualista, anzi una crescita civile del Paese. Insisto: la richiesta di verità e giustizia che voi portate avanti non basta. Ai miei devoti, tanto per fare un esempio, hanno dato cinque anni per aver stappato due bottiglie di spumante durante una manifestazione all’interno di un’Esselunga. Non sempre la magistratura sta dalla parte di chi non ha santi in paradiso: come la mettiamo con la vostra passione per tribunali e manette?

PS:
Intanto considero l’esproprio (simbolico o meno) un atto politico di grande valore e non una faccenda da tribunale o da manette. E tra i miei libri di riferimento ho I miserabili di Victor Hugo ed è inutile che ti dica perché. Non sono così rozzo 🙂 Passioni per manette e tribunali? Guarda, io sono contro l’ergastolo (vorrei dire contro le pene detentive in generale e per favorire le misure alternative al carcere) lo considero una misura disumana, inutile, antistorica e per niente giusta. La magistratura non deve stare dalla parte di nessuno ma essere autonoma. Parliamo invece di Facebook. Vorrei fare una considerazione molto franca. Ti osservo da un po’ e penso che tu non abbia compreso le sue potenzialità.

SP:
Be’, non tutti hanno il tuo fiuto. Ma non so se lo userò mai come te, cioè come strumento di organizzazione politica. Io sono arrivato in ritardo, un po’ per snobismo ma anche perche gli hacker mi hanno insegnato che le tecnologie devono essere aperte, libere, modificabili… il contrario di FB che è blindato e privatistico: il capo di una pagina può bannare chi vuole: è quello di cui ti accusano un sacco di viola. E poi FB è di proprietà di un’azienda che lo usa per fare profitti. È uno strumento democratico?

PS:
Facebook è un mezzo per veicolare contenuti a una platea vastissima. Senza, non ci sarebbe stato il No B Day. Prima di scoprirlo mi muovevo in modo classico: facevo volantini, al massimo scrivevo ai giornali. Ma anche lì dovevo confrontarmi con i filtri e con la natura privata dei media tradizionali. Ti faccio un esempio: se per lanciare una manifestazione contro Berlusconi scrivo una lettera a “Il Manifesto” non è detto che la lettera venga pubblicata e comunque avrò un riscontro limitato. Per lanciare la manifestazione del 5 dicembre mi è bastato creare una pagina e lanciare il messaggio in rete. Adesso ho un pallino fisso: mi piacerebbe organizzare una grande manifestazione contro la precarietà partendo dalla Rete. Ci lavoriamo assieme?

SP:
Magari! Però io non farei una manifestazione della sfiga precaria ma della riscossa, incentrata su lotte e welfare. Ma un punto di contatto c’è, perché Berlusconi e il blocco di potere che rappresenta stanno portando a fondo un processo di precarizzazione fondato sull’ingiustizia, che puo trasformare l’Italia in un paese in cui il benessere è appannaggio di una minoranza. Però il conflitto non può essere solo nelle piazze e contro B. Alla nostra generazione manca quello che è sempre stato il passpartout della società italiana: esercitare il conflitto all’interno della sfera produttiva. I precari sono il prodotto di questo sradicamento. Col Popolo viola hanno fatto battaglia sul campo civile, ora dovrebbero spostarsi su quello produttivo.

PS:
Né sfiga né riscossa ma un nuovo processo di creazione politica che liberi forze, risorse politiche e soggettività capaci di allentare, di spezzare i dispositivi di controllo dei poteri dominanti. Perché oggi la posta in gioco è la vita e la sua liberazione dalle logiche di accaparramento. Quando si privatizza l’acqua ciò che si realizza è la sottrazione di un bene comune necessario per la stessa sopravvivenza, un’aggressione al corpo in tutte le sue sfere. Non so se questa espressione esiste già ma oggi parlerei di bioprecarietà.

SP:
Lo diciamo da tempo: la precarietà non è solo lavorativa ma coinvolge tutti gli aspetti delle nostre vite.

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  • Io e il precario che sa i segreti della casta | InformaLibera

    […] sia la stessa persona che due anni fa ha lanciato il No Berlusconi Day del 5 dicembre 2009, cioè Precario San, come lo chiamo io (vedi sotto). C’è chi dice che il NoBday era un’altra cosa, perché nasceva […]

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