Sistema assistenziale come sistema di controllo

In questo breve studio vi è un capitolo estremamente esplicativo di ciò
che intendiamo per “precarizzazione assoluta”. Per quanto selvaggia,
oggi la precarietà è un prodotto del mercato del lavoro. Certo, i
governi l’hanno favorita e legiferata ma in questo momento il lavoratore
ha come controparte l’azienda o l’amministrazione, come nel pubblico
impiego. Una riforma come quella che il ministro Damiano sta studiando
invece introduce una forma di precarizzazione mista, prodotta dal
mercato e controllata dallo stato o dagli enti locali. Un sistema di
questo tipo non avrebbe rivali sociali. Leggere e ricordare per credere.

2 capitoli tratti da

Sergio Bologna

ed. Manifesto Libri

Dicevamo, per riprendere il discorso sul Partito comunista e per cercare
di capire le sue difficoltà, anche nel momento dei suoi maggiori
successi elettorali, che il suo potere virtuale nella società gli
derivava dall’ essere la maggiore organizzazione politica presente tra
la massa dei disoccupati; questo significa che la vera controparte
istituzionale della base comunista era l’amministrazione del Ministero
del Lavoro addetta alla gestione dei sussidi di disoccupazione, cioè un
apparato complesso e capillare, una delle colonne dello Stato
weimariano; il Partito comunista doveva dimostrare la sua abilità nell’
organizzare e gestire i conflitti sociali non sui luoghi di lavoro ma
sui luoghi dell’ assistenza.

Perciò è di fondamentale importanza, per
capire la crisi di Weimar e il passaggio al nazismo, conoscere a fondo i
meccanismi di controllo, di selezione e di disciplinamento di cui
l’apparato assistenziale poteva disporre. L’aumento vertiginoso della
disoccupazione conferì a questo apparato poteri larghissimi nella
fasefinale della Repubblica. potremmo dire che lo Stato, agli occhi del
cittadino, non aveva altro volto identificabile se non quello dell’
apparato assistenziale. I poteri discrezionali di questo apparato
aumentarono man mano, la sua funzione di "sportello di sussidi" fu
gradualmente sostituita dalla funzione di "raccolta d’informazioni sulla
persona".

Gli ultimi governi di Weimar, i due gabinetti Briining, il gabinetto von
Papen, il gabinetto von Schleicher, ben consapevoli del potere di
controllo dell’ apparato assistenziale, usarono la leva del sistema
dell’Arbeitslosenversicherun g – dell’ assicura zione obbligatoria
contro la disoccupazione – con grande cinismo e spregiudicatezza per
creare il massimo di segmentazione, di atomizzazione, all’interno della
massa disoccupata. In che modo fu attuata questa politica? Con una serie
di decreti (quindi con una procedura che esautorava il Parlamento) nei
quali, volta per volta, si modificavano le condizioni di godimento del
diritto ai sussidi; modificando le condizioni, alcuni gruppi sociali
restavano esclusi, altri vedevano drasticamente ridotte le erogazioni;
in molti casi i decreti, che tra l’altro creavano una grande confusione
burocratica e agivano come costante fattore d’insicurezza, si limitavano
semplicemente a indicare i gruppi sociali che venivano esclusi dal
godimento dei sussidi di disoccupazione o dall’ assistenza, per periodi
talvolta transitori, altre volte per sempre o fino al prossimo decreto.
Così persero il diritto al sostegno le donne giovani senza figli, i
giovani al di sotto dei 21 anni, determinate categorie di lavoratori (in
genere si colpiva gli strati più deboli e più ribelli).

L’argomento per giustificare i tagli e le esclusioni – che erano sempre
accompagnate da qualche "regalino" per altri gruppi sociali in modo da
acutizzare le divisioni – era sempre 10 stesso: la necessità di ridurre
il deficit della finanza pubblica. Così milioni di disoccupati si
sentivano costantemente minacciati anche in quello che era un loro
diritto acquisito con anni di contributi; la gente, già ridotta alla
disperazione per i prolungati periodi di mancanza di lavoro, aveva
l’impressione che il governo giocasse alla roulette con le sue
disgrazie. Insicurezza ed esasperazione crescevano, la voglia di farla
finita con quel regime anche, ma 1’atomizzazione dei disoccupati
impediva un ricompattamento sociale "a sinistra". La Sinistra politica
non esisteva, la SPD difendeva il regime di Weimar come regime
democratico, frutto delle conquiste dei lavoratori, la KPD ne voleva
invece il superamento, 1’abolizione. I decreti che continuavano a
cambiare le regole dell’assistenza contribuirono in maniera determinante
ad aumentare la disoccupazione "nascosta", un numero sempre maggiore di
persone cadeva al di fuori delle garanzie previdenziali, altri
rinunciavano a fare appello a diritti continuamente messi in discussione.

Il sistema era articolato secondo tre forme di intervento: la prima era
la Arbeitslosenunterstiitzung (ALU), ossia il sussidio di disoccupazione
previsto dalla legge sull’ assicurazione obbligatoria contro la
disoccupazione del 1927, di cui potevano usufruire soltanto coloro che
avevano avuto un certo periodo contributivo, quindi coloro che erano
stati occupati per più anni in maniera stabile.

La seconda forma di assistenza era detta Krisenunterstiitzung (KRU),
ossia il sussidio previsto per situazioni eccezionali di crisi di
singoli distretti industriali o di singole fabbriche (qualcosa che
vagamente assomigliava alla nostra cassa integrazione straordinaria), ma
di cui usufruivano prevalentemente coloro che non avevano raggiunto il
periodo di contribuzione necessario a ottenere la ALU, quindi i precari,
quelli che non erano riusciti a trovare un lavoro stabile e alternavano
periodi di occupazione e periodi di disoccupazione; anche questa forma
di sussidio era prevista dalla legge del 1927.

La terza forma di assistenza era invece prevista da una legge emanata
nel 1924, che poteva dirsi una vera e propria legge di intervento sulla
povertà; mentre i due sussidi precedenti venivano gestiti e erogati
dagli Uffici del lavoro e quindi facevano parte di un sistema
previdenziale statale, questo terzo tipo di sussidio veniva erogato dai
singoli Comuni; la differenza fondamentale stava nel fatto che coloro i
quali non avevano un periodo di anzianità lavorativa e contributiva
sufficiente da potere godere dei diritti previsti dalla legge del 1927
ricadevano in questa forma di assistenza che non rappresentava un
diritto maturato in base a un meccanismo previdenziale e assicurativo ma
bensì un gesto di solidarietà del Comune di residenza fatto sulla base
di criteri discrezionali, ad personam, e per di più con l’obbligo del
rimborso; questa veniva chiamata la W ohlfahrtsunterstiitzung (WU).

Ora, il punto importante è questo: con la "Grande Crisi" si verificano a
livello di massa periodi di disoccupazione sempre più prolungati e –
dato che il sistema era concepito come un sistema a tre livelli – un
numero sempre maggiore di persone che usufruivano del sussidio, in
seguito al prolungato periodo di disoccupazione o veniva a perdere i
diritti maturati in quanto non più contribuente oppure veniva a
estinguersi il periodo di godimento previsto dai sussidi dei primi due
livelli. Accade così che nel corso della "Grande Crisi" un numero sempre
maggiore di persone esce dai primi due livelli e precipita nel terzo
livello, con la conseguenza che i Comuni si trovano a dovere
fronteggiare un intervento non previsto e soprattutto che i disoccupati
ricevono un sussidio sempre più esiguo. In altri termini, i disoccupati
diventano dei poveri assistiti, in che misura avessero diritto a
un’assistenza lo decide non più una burocrazia ministeriale ma una
burocrazia comunale talvolta impreparata ma soprattutto travolta
dall’enorme massa di richieste che deve fronteggiare.

Per gli ultimi
governi di Weimar questa situazione presenta (si fa per dire) un
vantaggio, in quanto scarica il problema dell’ assistenza dalle finanze
statali alle finanze comunali. D’altro canto, cosa significa questo per
i disoccupati e in particolare per il nucleo centrale della classe
operaia, che veniva a trovarsi ricacciata in un sistema assistenziale
che la equiparava agli strati più deboli e più marginali della società?
Significa che gli operai diventavano "poveri" non solo di fatto ma anche
di diritto. Il legame con uno "Stato sociale", su cui molto avevano
puntato sia la socialdemocrazia sia i sindacati per dare senso di
cittadinanza alla classe operaia nella Repubblica di Weimar e per
inculcare in tal modo fedeltà alle istituzioni repubblicane, si
frantumava e questo scollamento contribuiva a creare un ùlteriore senso
di estraneità della classe rimasta senza lavoro nei confronti dello
Stato e delle sue istituzioni: quindi quando si dice che la classe
operaia non difese adeguatamente la democrazia repubblicana occorre
tenere presente che questa democrazia rappresentava ormai ben poco agli
occhi del nucleo centrale della forza-lavoro.

Ricacciando i disoccupati
nel sistema dell’ assistenza comunale si formava un esercito di persone
che andava a chiedere la carità a un funzionario che doveva, molto sulla
base di un’impressione soggettiva, giudicare dei loro bisogni; i
disoccupati potevano avere il sussidio soltanto se riuscivano a
convincere il funzionario dell’ assistenza con un colloquio individuale;
si formava così una massa di milioni di persone ricattabili e, quel che
più importa per il successivo Regime nazista, di schedati. Ma non basta.
Come abbiamo detto, il sussidio erogato dai Comuni era soggetto
all’obbligo del rimborso; si formava così una massa di indebitati a vita
con le finanze comunali (nel 193 5, con abile mossa, Hitler emise un
decreto con cui venivano cancellati tutti i debiti degli assistiti nei
confronti dei Comuni).

Queste circostanze spiegano allora perchè, con il
progredire della crisi, un numero sempre maggiore di persone rinunciò a
ricorrere a qualunque forma di assistenza e andò ingrossando così sempre
più il numero di coloro che non erano più registrati come disoccupati.
Nasce quindi il problema politico, economico, sociale e statistico della
cosiddetta" disoccupazione nascosta" durante la "Grande Crisi";
all’inizio della crisi le persone che godono di un diritto al sussidio
di disoccupazione, quella che abbiamo chiamato la ALU, sono la grande
maggioranza degli assistiti; nel 1933, mese di marzo, quando Hitler è
già al potere e la disoccupazione raggiunge il suo culmine, sono
diventati minoranza; la grande maggioranza è finita nel terzo
contenitore, se immaginiamo questo sistema come un sistema di vasi
comunicanti; si tratta di milioni di persone completamente in balia del
sistema comunale di assistenza alla povertà.

A questi vanno aggiunti naturalmente coloro che, stufi di essere
sottoposti a un sistema altamente discrezionale, di essere schedati e
per di più di dovere un domani rimborsare i magri sussidi, andavano a
ingrossare le file della" disoccupazione nascosta" e che sono – come già
ho detto – il 32,5 % del totale degli assistiti nel 1930, il37% nel
1932, il 36, 6% alla fine del 1933 (dobbiamo tenere presente che questa
flessione nel corso del 1933 è dovuta al ridursi della disoccupazione
mediante i sistemi forzati di avviamento al lavoro introdotti dal
nazismo, di cui parleremo tra breve).

Il risultato è quindi che negli
anni di crisi la parte più debole del proletariato o è sottoposta al
sistema di controllo e di ricatti della pubblica assistenza oppure
semplicemente rinuncia all’ assistenza e si trova priva di qualunque
riferimento sociale e istituzionale che non fosse quello rappresentato,
per una minoranza, dalle organizzazioni politiche. Tra queste
organizzazioni, quelle che esercitavano la maggiore attrazione sulla
massa di disoccupati e di sradicati erano il Partito nazionalsocialista
e il Partito comunista, che in quegli anni colgono i maggiori successi
elettorali nelle elezioni sia politiche che amministrative.

Ripetiamo ancora una volta, per essere più chiari: il problema non era
solo quello della disoccupazione, era anche quello del sistema di
gestione e assistenza alla disoccupazione e alla povertà. Il quale
sembrava fatto apposta per determinare ulteriore atomizzazione
all’interno del proletariato, come hanno sottolineato tutte le ricerche
recenti su questi anni di crisi.

“Asociali”: dall’Ufficio di assistenza al Lager
Le stesse ricerche e altre che si sono andate accumulando in questi
ultimi anni hanno anche messo in luce come il sistema assistenziale e la
burocrazia che lo amministrava siano sempre stati concepiti dal
proletariato tedesco come una controparte con la quale misurarsi
duramente. N elI’ ultimo numero della rivista "Werkstatt Geschichte", il
4, del marzo scorso, sono riportate una serie di testimonianze di
persone che raccontano la loro storia e le loro tribolazioni di poveri e
disoccupati costretti a fare la fila davanti all’ufficio dell’
assistenza negli anni ’20; nella memoria di chi ha vissuto quegli anni
il rapporto con l’ufficio di assistenza è sempre di tipo conflittuale;
sono testimonianze che si riferiscono sia al periodo della grande
inflazione (1923), sia al periodo successivo della razionalizzazione
massiccia (1924-1928), sia al periodo della "Grande Crisi" (1929-1933).

Questi avvenimenti riducono in povertà persone di diversi ceti sociali,
impiegati, commercianti, artigiani, che si trovano a fare la coda
assieme agli anziani, alle ex prostitute, alle donne sole con figli, ai
marinai senza imbarco, agli operai di fabbrica disoccupati, a giovani
coppie prive di mezzi, a invalidi; una volta al giorno, una volta alla
settimana, una volta al mese costoro debbono convincere i funzionari di
turno della legittimità delle loro richieste, devono raccontare le loro
storie personali, ripeterle, con un misto di umiliazione e
rassegnazione. Il Partito comunista, sin da quando il sistema di
assistenza fu sancito per legge, fece opera di agitazione e
mobilitazione tra gli aspiranti all’ assistenza perche superassero, con
comportamenti collettivi l’intenzione della burocrazia di dividerli e
perche non accettassero di presentarsi con atteggiamento dimesso ma con
atteggiamento di chi rivendica un diritto.

In tal modo il comportamento degli assistiti, grazie alla propaganda
comunista, divenne sempre più perentorio e aggressivo, creando forti
reazioni nei funzionari e un irrigidimento della struttura. Nel numero
della rivista citato, vengono infatti riportati decine di episodi di
assalti, di scontri, di minacce ai funzionari, con continui interventi
della polizia. Sono scene che accompagnano la vita quotidiana di tutta
la Repubblica di Weimar, soprattutto nelle grandi città. Non bisogna
dimenticare infatti che i Comuni, per quanto ricevessero delle apposite
sovvenzioni dallo Stato e per quanto lo Stato fissasse dei criteri di
massima, erogavano i sussidi a seconda delle loro possibilità
finanziarie; nei piccoli Comuni, dove viveva la maggioranza della
popolazione tedesca, evidentemente i mezzi disponibili per l’assistenza
erano molto limitati; accadeva quindi che sia per quanto riguarda il
livello dei sussidi, sia per quanto riguarda la base di utenza dell’
assistenza, sia per quanto riguarda la forma del sussidio (che poteva in
parte essere anche erogato in natura o su contropartita di lavoro) vi
era un’ enorme differenza da zona a zona e da Comune a Comune.

C’era poi il grande problema rappresentato dal numero veramente
imponente di lavoratori migranti, che si spostavano da un luogo all’
altro in cerca di lavoro e che chiedevano di ottenere assistenza non dal
Comune di residenza ma da quello in cui si trovavano di fatto. Se questa
situazione provocava tensioni e disagi già nel periodo precedente alla
"Grande Crisi", si può immaginare quanti ne abbia provocati con lo
scoppio e l’aggravarsi della crisi stessa e con il fatto che, come
abbiamo visto, sul sistema di assistenza comunale si riversò di colpo
una massa di milioni di persone, espulse dal sistema previdenziale
statale; tuttavia fu proprio allora che il ruolo del sistema
assistenziale, in quanto sistema di controllo e di schedatura, emerse in
tutta la sua portata.

Con il radicalizzarsi dei rapporti tra la struttura e l’assistito nel
corso della" Grande Crisi", la struttura stessa perde quasi del tutto il
suo carattere di servizio sociale e diventa sempre più un sistema
poliziesco supplente nei confronti delle parti più deboli della società,
diventa un sistema che divide e seleziona sempre più, creando ulteriori
fattori di degrado ma soprattutto istituzionalizzando le differenze. È
qui che si innesta il sistema nazista. Uno degli argomenti di fondo
della ricerca sugli emarginati nel periodo finale della Repubblica di
Weimar riguarda il ruolo svolto dal sistema assistenziale. Su questo la
nostra Fondazione ha fatto una ricerca molto importante, che riguarda la
storia dell’ assistenza comunale ad Amburgo (il volume, curato da
Angelika Ebbinghaus, è uscito nel 1986 e ha per titolo Opfer und
Tiiterinnen). Che cosa ha messo in luce questa ricerca? Che il personale
della burocrazia assistenziale, in gran parte femminile, è passato senza
traumi dal governo socialdemocratico al governo nazista. I nazisti hanno
rilevato quasi tutto l’organico e gli hanno chiesto di lavorare come
prima, cioè di continuare a esercitare la funzione di sorveglianza,
controllo e schedatura e hanno costruito una struttura parallela di
selezione degli emarginati, su basi biologiche e razziali.

La struttura
assistenziale, fatta di operatori socio-sanitari oltre che di personale
amministrativo, forniva una serie di informazioni sui singoli soggetti,
sui singoli" casi" , alla struttura che doveva intervenire sul piano
della segregazione o dell’annientamento fisico delle persone
(internamento in campi di lavoro, in cliniche psichiatriche, o sedicenti
tali, dove venivano praticate la sterilizzazione forzata e altri
interventi di "eugenetica").

La maggioranza di queste persone venne ritenuta passibile di trattamenti
di segregazione e di annientamento in quanto Asozialen, asociali, perche
da troppo tempo disoccupati, perche avevano commesso piccoli delitti
contro il patrimonio, perche si erano prostituiti, perche avevano
malattie considerate ereditarie, perche erano portatori di invalidità
gravi, perche avevano comportamenti matrimoniali o sessuali irregolari,
perche avevano ripetutamente assunto atteggiamenti antagonisti e di
protesta sul luogo di lavoro o contro rappresentanti di istituzioni (è
il caso della maggioranza dei simpatizzanti comunisti), perche avevano
cambiato troppo di frequente residenza o semplicemente perche erano
stati colti troppe volte su mezzi di trasporto pubblici senza il
biglietto.

Una larga parte dei poveri e degli emarginati venne quindi
definita" asociale" sulla base delle informazioni raccolte dagli uffici
di assistenza e riportate nelle schede personali e avviati quindi a un
processo di selezione che non fu soltanto un processo di selezione
razziale ma anche un processo di selezione sociale.

La maggioranza degli internati nei campi, all’inizio del regime nazista,
era composta da questi cosiddetti" asociali", che successivamernte
verranno chiamati con il termine di gemeinschaftsfremde ("estranei alla
comunità"). Ancora nel 1941 c’erano 110.000 detenuti tedeschi non ebrei
nei campi di concentramento, internati come Asozialen. La politica di
selezione della razza non è quindi nata sull’antisemitismo, non è quindi
nata su base etnica, ma è nata per affrontare la questione sociale, è
nata per distruggere fisicamente gli emarginati (come riconosce anche lo
storico George Mosse nella sua Intervista sul nazismo, ripubblicata da
Mondadori l’anno scorso, la vera persecuzione contro gli ebrei cominciò
nel 1937\38).

Su basi di selezione sociale degli emarginati si è sviluppata la
cosiddetta politica eugenetica nazista o, come fu chiamata, la
"polititica demografica" (Bevolkerungspolitik). I primi Lager furono le
"case di lavoro" (Arbeitshiiuser), ossia gli ospizi dove erano
alloggiati coloro che, in cambio del sussidio di assistenza, dovevano
prestare un servizio di lavoro obbligatorio. È lì che è nato il sistema
concentrazionario nazista. In base alla legge del 1924, istitutiva dell’
assistenza ai poveri, veniva anche fissato per legge il lavoro coatto.
Orbene, quando Hitler realizzò i primi provvedimenti di avviamento al
lavoro per riassorbire a tappe forzate la disoccupazione, lo fece
richiamandosi alla legge istitutiva del lavoro coatto. La legge del
primo giugno 1933 (Gesetz zur Verminderung von Arbeitslosigkeit, ossia
la "Legge perla riduzione della disoccupazione"), una delle leggi-quadro
più importanti di politica attiva del lavoro, si richiama esplicitamente
alle norme sul lavoro obbligatorio del 1924.

In questo contesto il rapporto di lavoro viene visto come un rapporto
che non dà diritto a una retribuzione, perchè è parte di una erogazione
assistenziale, quindi si pone al di fuori delle norme del diritto civile
che regolano il rapporto di lavoro; non avendo il lavoratore diritto a
una retribuzione, i servizi in natura che egli riceve, cioè vitto e
alloggio, sono parte integrante dell’ erogazione assistenziale, la quale
si configura giuridicamente come un atto di diritto pubblico. Il
riassorbimento della disoccupazione da parte del governo Hitler nei due
anni successivi viene realizzato affidandosi a questo strumento di
ordine giuridico. Il regime nazista si vantò di avere riassorbito nel
giro di due anni un numero di disoccupati pari a circa 8 milioni; non
bisogna però dimenticare che circa il 70% dei posti di lavoro creati
dalla politica attiva dell’ occupazione del regime nazista riguardava
lavori che facevano parte del grande programma di opere pubbliche di
tipo infrastrutturale (come le autostrade). La forza-lavoro così
impiegata rientrava nel quadro giuridico del lavoro obbligatorio
(P/lichtarbeit).

Questa è la ragione anche del crescente malcontento che si diffuse tra
questi lavoratori e che negli anni 1935-36 diede luogo a quello che
alcuni hanno definito un vero e proprio" ciclo di scioperi". Furono
segnalate dalle autorità di polizia e dagli organi del Partito 260
fermate sul lavoro, la maggior parte delle quali si verificarono nei
cantieri per la costruzione delle autostrade o in cantieri di altre
opere pubbliche.

Gli scarsi dati a disposizione relativi alle figure che
hanno svolto un ruolo di agitatori o di iniziatori o di organizzatori di
queste fermate, mettono comunque in evidenza che la grande maggioranza
degli operai più attivi nella protesta aveva dietro a se esperienze, sia
pure brevi, di prigionia e di internamento nei campi. Questi elementi, e
il dato di fatto che la grande maggioranza dei lavoratori sono stati
avviati al lavoro in maniera più o meno coatta, rendono poco credibile
la tesi che il regime nazista sia stato un esempio molto avanzato di
keynesismo. Più esatto . sarebbe dire che il regime nazista ha combinato
assieme alcune formule che potremmo chiamare keynesiane (finanziamento
di opere pubbliche per creare posti di lavoro) con i meccanismi di tipo
assistenziale ereditati dall’ epoca weimariana e con – fattore
assolutamente fondamentale – un sistema di coercizione e di repressione
dentro il quale il Lager è una componente essenziale della politica del
lavoro.

Insomma l’erogazione di spesa pubblica per riassorbire disoccupazione
potè sussistere solo all’interno di un regime del lavoro dove non solo
sono sospese le variabili di mercato ma sussiste una vastissima area in
cui il lavoro è considerato al di fuori delle regole del codice civile
ed è un fattore affidato in buona parte alla discrezionalità del potere
esecutivo, "cioè è un lavoro militarizzato. Dunque l’atteggiamento
prevalente del nazismo nei confronti della classe operaia è quello che
porta non alla sua promozione e/o emancipazione (come sostiene
Zitelmann) ma alla sua militarizzazione.

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