Voi crack finanziario, noi reddito precario

Oggi, 26 maggio 2011, un gruppo di precari e precarie hanno fatto gentile visita all’Assofin, a Milano, in via Toti 4. Dopo aver esposto uno striscione e volantinato riscuotendo grande attenzione da coloro che uscivano dagli uffici, una piccola delegazione è entrata nella sede dell’associazione di categoria delle finanziarie per parlare con il suo responsabile e consegnarli una lettera da inoltrare ai direttori delle società finanziarie che fanno parte di Assofin. Dopo una prima reazione cordiale, il responsabile ha capito che non era per niente uno scherzo e ha cercato di liquidarci sostenendo di non essere abituato ad incontri senza appuntamento. Purtroppo per lui la precarietà non prende appuntamento: è tempo di sottrarsi al ricatto. Chi ci precarizza si fa dare i soldi dai soci di Assofin e non ci paga, ma noi dovremmo saldare i nostri debiti e consentire al circolo vizioso di sfruttarci due volte. E’ ora di dire basta.

Lettera consegnata al responsabile di Assofin | Volantino distribuito di fronte alla sede di Assofin (versione scaricabile in PDF)

Verso il 6 maggio..

Lo sciopero “generale” di 4 ore indetto per il 6 Maggio dalla CGIL è, di fatto, uno sciopero tradito. Uno sciopero generale che è stato conquistato dal basso, la cui urgente necessità è stata ribadita a gran voce sin dal 16 ottobre scorso, ma che è stato strappato alla CGIL solo dopo le mobilitazioni degli universitari contro la riforma Gelmini e dopo l’esplosione della rabbia  precaria il 14 dicembre a Roma.

Uno sciopero che si sta cercando di sgonfiare dall’alto, riducendone la conflittualità e le rivendicazioni. Uno sciopero che così come la Camusso ha trasformato non attacca i profitti né cambia i processi di accumulazione della ricchezza basati sulle rendite finanziarie, sulle speculazioni e sui ricatti imposti ai lavoratori.

Lo sciopero del 6 Maggio è una risposta insufficiente alla crisi.

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Né generale, né generalizzato. Un modesto sciopero politico

Una riflessione del Coordinamento migranti di Bologna come contributo al dibattito sullo sciopero precario

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Da mesi evocata, richiesta, immaginata, alla fine è arrivata la data dello sciopero generale della CGIL. Non si sa se sarà davvero l’occasione in cui il sociale mostrerà tutta la sua forza di pressione politica. Oppure se le quattro ore di astensione dal lavoro per i diritti e contro la politica del governo saranno un contenitore nel quale ognuno potrà immaginare il proprio avversario per poi dire di averlo colpito duramente. Si vedrà. Noi ci limitiamo a osservare che lo sciopero forse non è più pensabile solo come un’astensione dal lavoro con relativa manifestazione e comizio finale; forse è necessario fare un passo avanti.

Intanto, tra mille difficoltà, e con una partecipazione decisamente inferiore rispetto all’anno precedente, lo scorso primo marzo ha avuto luogo la seconda giornata senza immigrati “24h senza di noi”. Si potrebbe facilmente ironizzare dicendo che la giornata è effettivamente riuscita, perché pochi immigrati vi hanno partecipato e molti forse ne ignoravano persino l’esistenza. In questo clima di difficile visibilità per i migranti c’è chi ha scelto di tornare a pratiche eclatanti e simboliche che nell’assalto al Cie, mentre urlano la giusta rabbia dentro a una situazione intollerabile, rischiano però di rappresentare in forma rovesciata il modello emergenziale con il quale sono costantemente affrontati i movimenti dei migranti. Come non pensiamo che la precarietà sia un dato contingente della presente organizzazione del lavoro, al quale si possa rispondere con qualche aggiustamento giuridico o contrattuale, così non pensiamo che i movimenti dei migranti siano un fatto eccezionale da governare o da sostenere in modo episodico ed esemplare.

Poiché pensiamo che la presenza dei migranti sia un dato strutturale e insopprimibile all’interno delle nostre società, noi abbiamo scelto un’altra strada. Con rabbia non minore abbiamo scelto di organizzare come l’anno scorso lo sciopero con e dei migranti. L’abbiamo fatto attraversando dove possibile gli attivi dei delegati della Fiom, parlando con gli operai migranti e italiani nelle fabbriche e nelle cooperative, incontrando e mettendo in comunicazione il lavoro precario e migrante. Lo sciopero che ne è uscito ha visto a Bologna una partecipazione più ampia di quella dello scorso anno sia per le fabbriche coinvolte sia per il numero di lavoratori che vi hanno partecipato. Un modesto sciopero politico che non ha difeso né richiesto un contratto, ma ha opposto italiani e migranti insieme a una condizione particolare che finisce per coinvolgere tutti. Uno sciopero che ha individuato il suo avversario tanto nelle imprese, che sull’economia della legge Bossi-Fini costruiscono i loro profitti, quanto nelle norme legislative e amministrative che consentono questo specifico regime di accumulazione di profitti.

Noi sosteniamo che i migranti nella loro singolarità mostrano quotidianamente i caratteri universali della condizione precaria: sia per la regolare irregolarità delle loro condizioni lavorative, sia per il dissolvimento dei contenuti materiali della cittadinanza che vivono sulla loro pelle. Ciò significa che ogni riflessione sul nuovo welfare dovrebbe non solo evitare il collegamento al salario come criterio della cittadinanza, ma anche porsi il problema di quali gerarchie sociali implicite potrebbe stabilire l’accesso alle prestazioni sociali. Il welfare forse non può essere solo il risarcimento per il salario mancante, ma anche porsi la questione di quale relazione ogni welfare stabilisce tra le figure lavorative, visto che, per esempio, sul terreno attuale del welfare, già ampiamente monetarizzato, la divisione sessuale del lavoro rinnova e rafforza lo sfruttamento e l’isolamento delle donne migranti. Per queste e altre ragioni di fronte a chi, ogni volta che si parla sciopero del lavoro migrante, dice che si tratta di uno sciopero etnico, c’è ormai solo il fastidio. Lo sciopero del lavoro migrante non è stato, né può essere, solamente lo sciopero dei migranti, ma ha attraversato e coinvolto moltissimi lavoratori, precari e non. Allo stesso tempo non può essere solo uno sciopero nazionale, perché il lavoro migrante mette a nudo la dimensione transnazionale dello sfruttamento del lavoro precarizzato. Forse non è allora un caso che quest’anno, anche a Vienna ci sia stata un’esperienza di sciopero del lavoro migrante, così non dovrebbe stupire che a Bologna si sia registrata la presenza massiccia di studenti e di donne che hanno agito in autonomia, ma anche in continuità con lo sciopero stesso.

L’opposizione alla condizione migrante mette infatti in gioco tanto la possibilità di accedere alla formazione quanto la lotta contro il patriarcato. La lotta contro una condizione composta di particolarità non sopporta una facile sintesi generale. Gli studenti figli di migranti non tollerano più l’etichetta di seconda generazione, seguendo la saggia idea di non voler essere secondi a nessuno. Non vogliono accomodarsi insieme ai loro compagni degli istituti tecnici e professionali nella sala d’attesa della cittadinanza nella paziente attesa di un lavoro precario e sottopagato. Le donne italiane e migranti sanno perfettamente che il patriarcato non è un residuo del passato e tanto meno il portato esotico che proviene da terre lontane, ma una modalità concreta e attuale di organizzare i rapporti tra gli uomini e le donne e, non da ultimo, il lavoro riproduttivo, salariato o meno. Una condizione che necessariamente si oppone ai modelli di trasmissione del sapere e alle logiche più intime di divisione del lavoro produttivo e riproduttivo non può che essere una condizione universale. Uno sciopero contro questa condizione non può che essere uno sciopero politico, che non ricompone tutti i protagonisti in un’unica figura, ma li fa comunicare e agire insieme contro avversari riconosciuti come comuni.

Quest’anno abbiamo propagato la parola d’ordine dello sciopero con lo slogan: L’abbiamo fatto e lo rifaremo… Anche dentro il dibattito e la pratica dello sciopero precario porteremo l’esperienza di quello che abbiamo fatto, senza la pretesa di indicare un altro modello generalizzabile, ma segnalando un metodo che può contribuire a fare dello sciopero precario qualcosa se non nuovo almeno politicamente originale.

Coordinamento Migranti Bologna e Provincia

Oltre ogni divisione

Da due anni la crisi morde e il governo Berlusconi mente: ora ci impone una manovra di quasi 25 miliardi di euro che, raccontano,  “non mette le mani in tasca agli italiani” ed è “equa”. Mentono ancora.

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Finalmente sciopero!

Oggi primo marzo lo sciopero del lavoro migrante finalmente c’è! Oggi primo marzo è in corso lo sciopero di italiani e migranti contro lo sfruttamento del lavoro migrante. Oggi c’è lo sciopero! L’impossibile sciopero… Infinite parole sono state spese per dire che di sciopero del lavoro migrante non si deve parlare, che è destinato a fallire, che bisogna aspettare, che divide migranti e italiani, che non c’è la libertà di sciopero, ma il diritto di proclamazione dello sciopero, che solo alcuni hanno…

Nonostante tutte queste chiacchiere il 1° marzo lo sciopero c’è.
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