Utoya e il cuore di tenebra dell’Occidente.

Perché i mass media occidentali negano il carattere terroristico delle stragi accadute in Norvegia e la loro matrice di estrema destra?

Di Michele Corsi.

Il fondamentalista cristiano Anders Behring Breivik ha fatto esplodere un’auto vicino ad alcuni uffici governativi di Oslo, capitale della Norvegia,  ed ha ucciso una novantina di giovani sull’isola di Utoya.

La reazione dei mass media occidentali, appena si è diffusa la notizia  dell’esplosione, è stata unanime: è un attentato opera del terrorismo “islamico”. Sono anche apparsi (poi fatti rapidamente sparire) articoli di accompagnamento che analizzavano il fenomeno del fondamentalismo in Scandinavia  e di come assai astutamente questi gruppi utilizzassero gli immigrati di quei Paesi tolleranti. Subito si sono rievocati gli attentati terroristici di matrice jihadisti di Madrid (2004, 191 morti) e di Londra (2005, 52 morti).

Quando si è saputo che l’assassino era biondo, norvegese, cristiano e fanaticamente antislamico, l’imbarazzo è stato generale e i media occidentali hanno innescato un’improvvisa retromarcia “spoliticizzando” gli eventi. Per esempio è sparita dalle cronache e dai commenti la parola “terrorismo”.

Quando si nomina l’evento di Oslo si parla di “esplosione”, e per indicare quello dell’isola si parla di “strage”. Breivik non viene definito “terrorista” (attributo che gli sarebbe stato affibbiato senza indugio se fosse stato provvisto di pelle scura o di altra religione) ma: “killer”. Le sue gesta non vengono paragonate a quelle di altri terroristi di estrema destra, ad esempio gli autori della strage di Piazza Fontana (1969, 17 morti) o della Stazione di Bologna (1980, 85 morti) o di Oklahoma City (1995, 168 morti). Si considera Breivik, invece, un emulo dei killer folli statunitensi, stile strage della Columbine High School (1999, 13 morti). Perché quando le stragi sono opera dell’estrema destra vengono derubricate a fatti di cronaca?

Alla spoliticizzazione contribuisce la rimozione circa l’identità politica dei giovani uccisi sull’isola di Utoya. All’inizio sembrava che quei ragazzi fossero allegri villeggianti. Poi a fatica è emerso che si trattava di un campeggio politico di giovani di sinistra, quella che una volta si chiamava “scuola quadri”. La stessa sigla dell’organizzazione cui appartenevano rimane tabù per la gran parte dei mezzi di informazione, perché troppo evocativa.

Noi però la nominiamo: si chiama AUF, Lega dei Giovani Lavoratori. Un paio di giorni prima questi ragazzi (ma loro si chiamano “compagni”) avevano affisso sull’isola una targa in commemorazione dei giovani dell’organizzazione che erano morti durante la guerra civile spagnola, alla quale avevano partecipato come volontari nelle Brigate Internazionali per combattere contro il franchismo.

Il legame tutto politico dell’azione del terrorista ariano Breivik è nei fatti negata dai mass media. Ai loro occhi è come se fosse stato per lui abbastanza indifferente il colore politico di chi stava ammazzando. Non a caso è paragonato ai killer di Columbine che hanno sparato a studenti e insegnanti “a caso” e senza alcuna motivazione politica.

L’azione politica di Breivik, invece, è stata sul piano militare e dal suo punto di vista di una straordinaria efficacia. L’esplosione nella capitale ha avuto la funzione di ritardare l’arrivo della polizia sull’isola vicina, dove il terrorista ha potuto agire per più di un’ora indisturbato. Così ha potuto compiere un’azione di tutta rilevanza. Quelli che ha ucciso sono 90 “quadri” politici e ne ha feriti e traumatizzato gravemente più di altri cento.

Se teniamo conto che la Norvegia conta 4 milioni di abitanti, è come se in Italia venissero uccisi e feriti, comunque “eliminati” dalla politica attiva, 3000 giovani militanti, che è come dire tutti i militanti dei centri sociali, o tutti i militanti giovani del PD o di SEL e della Federazione della Sinistra, o tutti i giovani delegati della Fiom.

Insomma, una operazione politica importante, che peserà negativamente su tutta la nuova generazione della sinistra norvegese. Come è possibile negare il carattere “politico” di questa azione?

E’ lo stesso Breivik che lo rivendica nei suoi scritti che ora si stanno diffondendo. Per lui il Arbeiderpartiet (Partito Laburista) al governo in Norvegia (insieme al Sosialistisk Venstreparti -Partito della Sinistra Socialista- e al Senterpartiet -Partito di Centro- antico partito dei contadini) sono i “marxisti” responsabili del multiculturalismo, cioé dell’entrata degli immigrati e della salvaguardia dei loro diritti. Ed ha agito di conseguenza uccidendoli fisicamente “finché erano piccoli”. Perché questo nesso viene rimosso?

Che l’atteggiamento dei media sia sintomatico della posizione delle classi dominanti dell’Occidente è dimostrato dalla reazione degli stati. I messaggi di solidarietà ufficiali pervenuti alla Norvegia all’inizio tuonavano contro il “terrorismo”, poi, una volta appurata la matrice di estrema destra… non sapevano più che dire, se non esprimere genericamente vicinanza al popolo norvegese. Però, improvvisamente, era sparito il nemico.

Perché? Perché Breivik non è un “nemico”?

Quando l’identità politica di Breivik è emersa, alcuni mezzi di informazione hanno cercato di sottolineare la “follia” del personaggio. Appena però dai suoi scritti e dal suo profilo è risultato chiaro che non era più sbarellato di tanti altri, la strada che si è battuta (e che si sta battendo nel momento in cui scriviamo) è stata: “è isolato”, “non ha complici”. E’ sintomatico il paragone con la strage compiuta dal maggiore Nidal Malik Hasan a Fort Hood in Texas che provocò la morte di 13 suoi commilitoni. Una campagna di stampa incessante lo mise al centro di una cospirazione di vasta scala, come se lui fosse il terminale della vasta rete di Al Qaeda che estendeva i suoi tentacoli fin dentro le caserme statunitensi. Questa campagna creò una minicaccia alle streghe contro i soldati e gli ufficiali di religione islamica oltre che un aumento della già forte pressione sui cittadini musulmani. Solo tempo dopo e senza che i media lo mettessero in evidenza è stato provato che l’ufficiale non aveva alcun tipo di collegamento con gruppi esterni. Di nuovo, due pesi e due misure. Quel che si fa contro il fondamentalismo islamico lo si evita con il fondamentalismo cristiano. Sottolineare l'”isolamento” dell’ariano Breivik ha la funzione di contribuire a spoliticizzare il suo gesto e declassarlo nella categoria dei gesti “folli”.

Nella realtà Breivik è stato militante politico del Fremskrittspartiet (Partido del progresso, una specie di Lega Nord norvegese), massone e in contatto con gruppi di estrema destra svedese e inglese. La sua visione politica è coerente (e da lui rivendicata) con quella dei “nuovi conservatori” (neocons) statunitensi, di moda all’epoca della presidenza Bush. Sono quelli che teorizzano la guerra di civiltà “Occidente vs Islam”.

Contrariamente alla destra classica, che è antisemita, si definiscono sionisti. Per loro le radici della civiltà occidentale sono “giudaico-cristiane”. Nulla di più falso dato che l’Occidente ha perseguitato gli ebrei per secoli, discriminandoli e ghettizzandoli, fino a sterminarli. E non è infatti l’amore per gli ebrei a spiegare le loro posizioni: semplicemente trovano che Israele sia un alleato fondamentale dell’Occidente per far da sentinella al petrolio del Medio Oriente. Oggi i neocons, in una fase dove il “nemico” che si profila è sempre di più la Cina, sono passati un po’ di moda, ma ricordiamoci di quando il Corriere della Sera veicolava i pamphlet deliranti (al confronto gli scritti di Breivik sono esempio di moderazione) di Oriana Fallaci. E del successo che a suo tempo questi hanno avuto.

Breivik si scaglia nei suoi scritti contro islam e marxismo. La cosa può sembrare curiosa, dato che storicamente queste due correnti, quando la prima ha preso forme politiche, se le sono quasi sempre date di santa ragione. Ricordiamoci però dei due nemici continuamente agitati da Hitler: ebraismo e marxismo.

La logica è identica: si individua un nemico sul piano della “razza” (o della “religione”, cioé un elemento identitario forte), per colpire allo stesso tempo anche una “classe”. Il primo campo di concentramento nazista (quello di Dachau) non ha ospitato ebrei, ma socialisti e comunisti. Per l’estrema destra il principale nemico è la sinistra, proprio perché essa indica (o dovrebbe indicare) un “altro” nemico, il ricco, e non il nero, o l’ebreo, o l’immigrato. Oggi l’estrema destra accusa la sinistra di essere “multiculturalista”, ieri di essere “cosmopolita”. L’estrema destra sa che il principale ostacolo al suprematismo bianco è la solidarietà multicolore tra lavoratori. Devono convincere i lavoratori che l’avversario non è quello coi soldi, ma quello con un’altra pelle o con un’altra religione.

Eppure quando i media riportano il pensiero di Breivik preferiscono sottolineare la sua attrazione per i templari. Come mai non si dilungano sul suo antislamismo? I templari del resto sono un elemento epico tipico dell’ideologia dell’estrema destra, come i combattenti di Alberto da Giussano per la Lega, i Nibelunghi per i nazisti o i centurioni romani per i fascisti.

Ai tempi delle Brigate Rosse, i mass media accusavano tutta la sinistra di fare da “brodo di coltura” del terrorismo rosso. Cioé di diffondere un pensiero che in qualche modo influenzava negativamente i giovani dalla “testa calda”.

E’ accaduta la stessa cosa anche con il terrorismo jihadista. Sembrava che ogni moschea favorisse il diffondersi di Al Qaeda, e si voleva obbligare gli imam a predicare in italiano in modo da poter controllare quel che dicevano. I mass media tuonavano: certo, non tutti loro sono terroristi, ma coi loro discorsi “oggettivamente” li favoriscono. Perché ora i mass media non accusano i partiti di destra che crescono in Europa di essere “brodo di coltura” del terrorismo?

In realtà la risposta a tutte queste domande è spaventosamente semplice.

L’Occidente sa, tutti noi sappiamo, che Breivik è “uno di noi”. Alla polizia ha detto: “è stato atroce, ma necessario”. Quando Himmler doveva rincuorare le sue squadre della morte nauseate a forza di massacrare notte e giorno centinaia di migliaia di vecchi, donne e bambini diceva: “è duro, ma necessario”. L’ideologia dell’estrema destra è sempre stata la carta di riserva delle classi dominanti dell’Occidente, e dunque dei mass media che esse controllano. E’ una carta con la quale si sono scottate, perché quando hanno delegato a questi gruppi politici il controllo dello Stato, come accadde con il fascismo e il nazismo, poi non è andata a finire tanto bene. Ma quella carta è per loro indispensabile quando devono combattere il nemico che hanno in comune con l’estrema destra: la sinistra e i lavoratori. Anche quando le direzioni dei partiti di sinistra e dei sindacati sono deboli e moderate (come lo è certamente quella norvegese), esse sono comunque un ostacolo, per la loro semplice esistenza, specie nei periodi di crisi economica, quando non si sa che reazioni ci si possa attendere da masse impoverite e inferocite. Contro le quali potrebbe essere utile indicare dei nemici di comodo: non i ricchi, ma gli immigrati, che hanno oggi preso il posto una volta occupato dagli ebrei.

E vasti settori di popolo rovinato dalla crisi possono cadere (e cadono!) nel tranello, per ignoranza, ma anche per convenienza: fa comodo a molti che le colf vivano in uno stato di semischiavitù, per esempio, o che sul lavoro chi è straniero stia dietro a noi anche se vale più di noi, ecc. ecc.

Per questo l’estrema destra europea è via via ammessa al salotto buono della politica europea: la Lega Nord governa da anni in Italia, così come il FPÖ austriaco, o il PVV olandese, o l’UCU ungherese.

In Norvegia il Fremskrittspartiet è da tempo il secondo partito e il Partito Conservatore (il partito storico della borghesia norvegese) si è dichiarato favorevole, in futuro, a governarci insieme. E’ divenuto normale in Europa che nel discorso pubblico si insultino gli immigrati, che li si consideri un “problema” (l’hanno detto Sarkozy, la Merkel, Cameron, Berlusconi) o ascoltare notizie allarmanti sulla sicurezza, dove si stabilisce ossessivamente un legame tra delinquenza e immigrazione, o assistere ad assalti a presunti violentatori quando sono stranieri e alla condiscendenza quando sono italiani.

Le classi dominanti europee non possono delegare la loro rappresentanza a questi partiti razzisti, perché l’economia crollerebbe d’un colpo se davvero si cacciassero gli immigrati. Strizzare l’occhio a queste ideologie e ai partiti che ne sono portatori, però, consente loro di applicare più agevolmente le politiche neoliberali: c’è un sacco di gente purtroppo che la pillola dei tagli la ingoia meglio se va giù con un po’ d’acqua sporca razzista. E’ dentro la legittimazione pubblica del discorso razzista e identitario che sono cresciuti i Breivik. E’ questa la ragione dell’imbarazzo dei media. Perché loro ne sono stati i principali veicoli. Quello è il “brodo di coltura” del terrorismo di estrema destra.

Il corpo dell’Occidente è pieno di mostri, il suo aspetto esterno è benevolo, tollerante, liberale, ma dentro alimenta un tumore che tiene nascosto, e prospera, e ogni tanto viene fuori senza che la pelle sottile della coscienza “civile” possa trattenerlo, e magari sbuca vicino a un’isoletta norvegese. Nella storia ci sono stati momenti in cui è uscito all’improvviso, da ogni poro, e non c’è stato più scampo.

Breivik non è solo. I silenzi, le rimozioni e gli imbarazzi dei media e dei loro padroni scoprono in maniera lampante, per chi voglia vedere, dov’è che pulsa il cuore di tenebra dell’Occidente.

 

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