Carta dei diritti dei lavoratori della conoscenza

Noi, lavoratori cognitivi dell’informazione e del settore dei media,
dell’editoria e dell’industria culturale, della scuola e
dell’università, della ricerca, dello spettacolo, della formazione e
della relazione, del design e della comunicazione, non solo non
pagheremo la vostra crisi ma, per porre un argine a questa deriva e
iniziare a invertire la tendenza, riteniamo necessario unirci e
riconoscerci su obiettivi comuni. Per questo rivendichiamo quanto
contenuto in questa Carta, che sottoponiamo alla condivisione dei tanti
e delle tante che si trovano a vivere la stessa condizione. Questi
documenti, frutto di un processo di general intellect che
intende proseguire, attendono dunque commenti e integrazioni.

Ipotesi di carta dei
diritti dei lavoratori della conoscenza

Quando
la conoscenza diventa merce, quando l’informazione e la cultura
diventano merce, naturale conseguenza è che i lavoratori della
conoscenza precipitino in una condizione di disconoscimento, di
debolezza e di ricatto occupazionale.

L’Italia
ha dichiarato guerra all’intelligenza. Vogliamo riprendere questo
concetto, lanciato in Francia qualche tempo fa. L’intelligenza è
stata sacrificata sull’altare corrotto dell’economia di mercato e del
più miope e asfittico interesse privato.

Ci domandiamo quale futuro
possa avere un Paese dove cultura e saperi si trasformano in
territori da colonizzare, recintare e brandizzare. Un Paese dove
l’arte è messa in vendita, un Paese che fa affidamento sulle
“fondazioni”, un Paese provinciale che vive nel culto di
Facebook. Ci domandiamo se una tale semplificazione del discorso non
abbia l’obiettivo di distruggere ogni tipo di legame sociale e,
contemporaneamente, di libera espressione della personalità di
ciascuno e ciascuna.

Quale
spazio questo genere di società è pronta a dare alla produzione e
alla circolazione del sapere? E come possiamo noi, diversamente,
riprenderci questo spazio e i diritti che ci competono in termini
economici, di salvaguardia sociale e di crescita personale?

Precarizzare
un’intera generazione di knowledge workers, tagliare i fondi alla
ricerca e alla formazione, i sovvenzionamenti ai teatri, ai musei,
alle istituzioni culturali pubbliche, al cinema, alle cooperative
editoriali e giornalistiche è funzionale all’ottenimento
dell’appiattimento e della distorsione di contenuti, messaggi,
offerte formative e culturali. E tutto ciò ha effetti nefasti per
l’intero Paese: lo scadimento del ruolo e del senso
dell’informazione, della formazione, della cultura innesca una
progressiva spoliazione collettiva, sociale, della possibilità di
esercitare pensiero critico e capacità di azione, collettivamente,
socialmente per riaffermare il primato dell’interesse comune e
della sfera pubblica, nonché dei dettami costituzionali, sui
particolarismi e sulle mire insaziabili del profitto privato di
settori sempre più ristretti e privilegiati della società.

A
questa situazione già drammatica, si aggiunge oggi una crisi
economica di proporzioni globali. Essa, ne siamo coscienti,
rappresenta una ghiotta occasione per imporre ulteriori forme di
disciplinamento del lavoro cognitivo. La crisi trascina infatti con
sé devastanti processi selettivi che servono a spingere il lavoro
cognitivo ancora un po’ più giù rispetto al già basso gradino
nel quale si trova collocato in questo Paese in guerra contro
l’intelligenza. Lo fa scendere lungo l’asse della mediocrità,
del timore, dell’afasia. Tutto ciò quando, invece, una delle cause
di questa crisi sta proprio nel mancato riconoscimento del valore
economico (in termini salariali) e sociale della gran parte del
lavoro cognitivo.

Noi,
lavoratori cognitivi dell’informazione e del settore dei media,
dell’editoria e dell’industria culturale, della scuola e
dell’università, della ricerca, dello spettacolo, della formazione
e della relazione, del design e della comunicazione, non solo non
pagheremo la vostra crisi ma, per porre un argine a questa deriva e
iniziare a invertire la tendenza, riteniamo necessario unirci e
riconoscerci su obiettivi comuni. Per questo rivendichiamo quanto
contenuto in questa Carta, che sottoponiamo alla condivisione dei
tanti e delle tante che si trovano a vivere la stessa condizione.

1)
In primo luogo, rivendichiamo il diritto a essere intelligenti.
Rivendichiamo cioè il diritto a un sapere e a una formazione del
tutto indipendenti dagli obiettivi imposti dal mercato e dalle
attuali logiche di produzione. La conoscenza, al pari dell’acqua o
dell’aria che respiriamo, è un bene comune, individuale e
universale, il motore collettivo che può garantire benessere e
progresso al maggior numero di persone, e non una merce da vendere e
comprare tot al chilo al mercato dei padroni del vapore, in funzione
del profitto e del controllo sociale imposti dal capitale.

2)
Rivendichiamo quindi, fuori e dentro il luogo di lavoro, il diritto
al riconoscimento e al rispetto delle nostre capacità, della nostra
autonomia, delle nostre competenze e della nostra professionalità,
dei nostri bisogni materiali e immateriali.

3)
Poiché il principale problema del lavoratore e della lavoratrice
della conoscenza è la possibilità di scegliere e di opporsi a vari,
possibili ricatti, rivendichiamo il diritto alla scelta e
all’autodeterminazione. Ciò significa rivendicare il diritto a una
garanzia continuativa di reddito. Per sua stessa natura il lavoro
della conoscenza non è mai totalmente asservibile ai dettami di una
rigida prescrittività, benché l’evoluzione tecnologica spinga in
tale direzione. Esso tende a essere flessibile e intermittente.
Vogliamo pertanto un reddito adeguato anche nei periodi di non
lavoro. Chiediamo garanzia di reddito nelle fasi di disoccupazione.
Non chiediamo solo sussidi e ammortizzatori sociali, ma sopra ogni
cosa garanzie di reddito continuativo.

4)
Rivendichiamo comunque la fissazione di un salario minimo orario per
le prestazioni di collaborazione, occasionali e non. Una paga oraria
minima in linea con il costo reale della vita e con le sue future
variazioni.

5)
Rivendichiamo la possibilità di scelta del tipo di contratto di
lavoro.
Respingiamo pertanto nettamente l’unilateralità dell’impresa che
negli ultimi anni è dilagata come modalità “naturale” di
chiamata all’impiego.

6)
Vogliamo riappropriarci del nostro lavoro e del nostro tempo.
Qualsiasi forma di contratto in esclusiva, totale o parziale, che
limiti la nostra capacità di azione e di pensiero, deve essere
ulteriormente remunerata.

7)
Vogliamo libertà di espressione, comunicazione, apprendimento.
L’autonomia cognitiva non è contrattabile. La prostituzione dei
cervelli non è migliore della prostituzione dei corpi.
Proprio
perché la conoscenza è un bene comune, appartenente al singolo
individuo e all’intera collettività, i frutti della conoscenza
devono essere socialmente condivisi in un ottica di circolazione
peer-to-peer.

8)
Rivendichiamo il diritto ad accedere sempre, nel corso della nostra
esistenza, in modo libero e gratuito alla formazione,
all’aggiornamento, a processi di crescita culturale personale.

9) Indipendentemente dalla continuità
dell’impiego e da una condizione di lavoro subordinata,
rivendichiamo inoltre e vogliamo da subito i classici diritti minimi
dello stato sociale: dall’accesso agli ammortizzatori sociali, alla
malattia, alla maternità, dalle ferie pagate ai congedi parentali,
dalla liquidazione di fine rapporto a un trattamento pensionistico
sicuro e dignitoso al termine del ciclo lavorativo di ciascuno e
ciascuna.

10)
Abbiamo visto che le risorse economiche ci sono sempre quando si
tratta di salvare le banche e le società finanziarie. Abbiamo visto
che, nonostante il nuovo regime di lavoro flessibile e precario,
intermittente, la produttività e la ricchezza complessiva si è
accresciuta proprio in virtù della cooperazione e della potenza
innovativa del General Intellect. Ciò che manca è dunque una equa
distribuzione dei frutti di questo lavoro sociale già in atto. Tale
distribuzione (reddito) insieme al complesso dei diritti che ne
conseguono, noi, ora e qui, stabiliamo di chiamarli “welfare del
comune”. E’ esattamente questo “welfare del comune” ciò che
noi rivendichiamo.

Siamo
convinti che la maggioranza dei lavoratori della conoscenza non
accetterà ancora a lungo, e passivamente, le forme di controllo
sulla formazione, l’apprendimento e i limiti proprietari e
gerarchici dell’attuale meccanismo produttivo, le sue incertezze,
la precarietà e lo sfruttamento generati dal dominio del capitalismo
contemporaneo sulla vita e i corpi di noi tutti. I vincoli alla
libertà e alla democrazia che tutto questo porta con sé sono sempre
più evidenti, anacronistici e insostenibili.

I lavoratori della conoscenza,
insieme a tutta la moltitudine precaria che compone il mercato del
lavoro contemporaneo, possono diventare motori di una nuova cultura,
di nuove iniziative democratiche, fondate sulla collaborazione, la
condivisione, la socializzazione. Devono perciò
rivendicare la libera circolazione del sapere che vuole dire anche
spingere sull’idea di una nuova società basata sulla liberazione
dal bisogno, sulla pace e sul rispetto dell’equilibrio della
natura, sulla libera e gioiosa cooperazione fra gli individui, sulle
potenzialità delle macchine e sulla creatività umana, messe al
servizio di tutte e di tutti.


We submit to the EuroMayday 2009 movement the two documents you’re going to read (“Manifesto of Knowledge-workers” and “Hypothesis for a Charta of Knowledge-workers Rights”).
They are the result of the common elaboration of different groups of Italian “knowledge workers” after some meetings in the past months in Milano. It deals with heterogeneous workers in different fields of cognitive and relational labour, such as journalists, workers of publishing houses, university researchers, telecoms and show business workers and so on. The unifying condition of these labour activities is precarity. The present economic crisis will probably lead to an increasing of up-to-date disciplinarian dispositif and slavery of mind. These two texts and the common discussion on them have been shared with the students’ movement against L. 133 (“the Anomolous Wave”). It is a sort of message to the European knowledge workers, in order to fight against the “war to intelligence, to culture, to knowledge” which is carried on everywhere.
Happy EuroMayday 2009 to everybody!

manifesto_of_knowledge-workers

hypothesis_for_a_charta_of_knowledge-workers_rights

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