Cresce la disoccupazione (ma dai?)

Istat: nel 2009 crolla l’occupazione,
persi 380mila posti di lavoro

Prima flessione dal ’95: il tasso di disoccupazione medio è salito al 7,8% dal 6,8% della media del 2008

ma nel quarto trimestre dell’anno l’indice è cresciuto all’8,6%

Istat: nel 2009 crolla l’occupazione,
persi 380mila posti di lavoro

Prima flessione dal ’95: il tasso di disoccupazione medio è salito al 7,8% dal 6,8% della media del 2008


MILANO – Ora anche le statistiche confermano quello che è sotto gli occhi di tutti da oltre un anno. In Italia aumenta la disoccupazione. Gli occupati nella media 2009 sono infatti diminuiti di 380 mila unità rispetto alla media 2008. Lo comunica l’Istat, sottolineando che si tratta del primo calo annuale dal 1995. Il tasso di disoccupazione medio è salito al 7,8% dal 6,8% della media del 2008.

DISOCCUPATI – Il tasso disoccupazione nel quarto trimestre 2009 è salito all’8,6% (dato non destagionalizzato), il livello più alto dal 2001. Lo rileva l’Istat, sottolineando che i senza lavoro hanno raggiunto quota 2,145 milioni di unità, 369mila in più rispetto allo stesso periodo 2008. Nel quarto trimestre inoltre il numero di occupati cala dell’1,8%, pari a 428 mila unità rispetto allo stesso periodo del 2008.

CRESCE LA DISOCCUPAZIONE ITALIANA – Nella media del 2009 – sottolinea l’Istat l’occupazione si riduce su base annua del 1,6% (-380 mila unità). Alla flessione particolarmente robusta dell’occupazione maschile (-2% pari a 274 mila unità in meno rispetto alla media 2008) si associa quella meno accentuata dell’occupazione femminile (-1,1% pari a 105 mila unità). Il calo dell’occupazione si concentra al sud (-3% pari a 194 mila unità in meno) ma è alto anche nel nord (-1,3% pari a 161 mila unità in meno) mentre resta contenuto al centro (-0,5% pari a 25 mila unità in meno). Il risultato negativo dell’occupazione totale tiene conto della riduzione molto accentuata della componente italiana (-527 mila unità) controbilanciata dalla crescita, pur se con ritmi inferiori al passato, di quella straniera (+147 mila unità di cui 61 mila uomini e 86 mila donne). Nel complesso nel 2009 lavorano 23 milioni e 025 mila per un tasso di occupazione complessivo del 57,5% (-1,2 punti percentuali sulla media 2008).

TREMONTIE SACCONI – «Non ho ancora visto gli ultimi dati sull’occupazione diffusi oggi dall’Istat ma confermo quello che ho già detto nei giorni scorsi, e cioè che i dati medi del nostro Paese sono sostanzialmente dati di tenuta migliore degli altri Paesi e che sull’occupazione il dato italiano è migliore della media europea». Così il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha risposto a chi gli ha chiesto di commentare gli ultimi dati in materia di occupazione. «L’ultimo dato che ci riguarda – ha aggiunto Tremonti – sulla disoccupazione ci attestava all’8,6% mentre la media europea supera il 10%. Non nego che c’è la crisi, l’ho detto per primo in tempi non sospetti che sarebbe arrivata, ma la disoccupazione in altri paesi arriva anche al 20%. Ribadisco – ha concluso il ministro dell’Economia – sono dati che preferiremmo fossero diversi ma sono migliori rispetto ad altri».
«Il dato medio della disoccupazione del 7,8% – gli fa eco il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi – si confronta con una media Eurozona del 9,4% secondo un differenziale che si conferma anche nel dato congiunturale di gennaio. Peggiori dei dati italiani sono stati quelli di molti Paesi tra i quali Francia, Svezia, Spagna che addirittura supera il 18% e gli stessi Stati Uniti nel 2009 hanno registrato una disoccupazione al 9,3%. Nonostante l’Italia sia un’economia fortemente esportatrice il riverbero della crisi sulla cessazione di rapporti di lavoro è stato contenuto dalla decisione di utilizzare strumenti come i contratti di solidarietà e la cassa integrazione sotto varie forme».






DAMIANO - Di tutt'altro parere Cesare Damiano, capogruppo Pd in commissione Lavoro della Camera: «Gli ultimi dati Istat confermano la gravità della caduta dell'occupazione. Tra il 2008 e il 2009 sono stati persi quasi 400 mila posti di lavoro. Non vorremmo sentire nuovamente le rassicurazioni del ministro Sacconi che tutte le volte ci spiega che il nostro tasso di disoccupazione è al di sotto della media europea». «Quello che il ministro Sacconi dimentica sempre di dirci - prosegue Damiano - è che il dato più rilevante è costituito dal tasso di attività che si attesta al 57,5% con un calo dell'1,2% ed è tra i più bassi dell'Ue. Sottovalutare ancora i problemi occupazionali sarebbe colpevole». Per Damiano «il governo anziché tingere artificialmente di rosa la situazione, a puro scopo elettorale, farebbe bene a dire la verità e a mettere in cantiere misure idonee per uscire dalla crisi: una politica industriale che guardi all'innovazione e individui i settori strategici; l'adozione di ammortizzatori sociali universali; il potenziamento del reddito delle famiglie per stimolare i consumi interni, come da tempo chiede il Pd con le sue proposte».

Norma salva-Atesia: cocopro fregati! Un commento a caldo

Questo dimostra come l’utilizzo fraudolento dei decreti legge per aggirare le norme precedenti sia oramai prassi: in materia di giustizia, elezioni, lavoro ma non solo. E’ chiaramente l’impianto complessivo a fare acqua da tutte le parti. Il pacco Treu e la legge (dei) 30 (denari) si dimostrano per quello che sono e che volevano essere: non una riforma del lavoro, come qualche buontempone ci voleva fare credere, ma lo smantellamento complessivo dell’impianto giuridico che ha regolato i difficili equilibri fra capitale e lavoro dagli anni settanta. Un’impianto giuridico che sosteneva ed era sostenuto da una particolare idea di civiltà, che ci piacesse o no, che affermava che il profitto delle aziende e gli interessi dei lavoratori potessero comunque trovare un’accordo.


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Governo all’attacco dell’articolo18

La Repubblica — 03 marzo 2010

ROMA – Aggirare l’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che tutela dal licenziamento senza giusta causa, e anche altre norme della nostra legislazione sul lavoro. Ma senza dirlo, almeno direttamente. La nuova legge sul processo del lavoro presentata dal governo è ormai a un passo dall’ approvazione: questa settimana dovrebbe concluderne l’ esame la Commissione Lavoro di Palazzo Madama, subito dopo sarà l’ Aula a dare il via libera definitivo dopo quasi due anni di navetta tra Camera e Senato. In quel testo (il disegno di legge 1167-B) c’ è scritto che le controversie tra il datore di lavoro e il suo dipendente potranno essere risolte anche da un arbitro in alternativa al giudice: o l’ uno o l’ altro. Un cambiamento radicale rispetto alla tradizione giuridica italiana, dove c’ è sempre stata una forte diffidenza nei confronti dei lodi arbitrali di stampo anglosassone. Un affievolimento di fatto delle tutele a favore del lavoratore, la parte oggettivamente più debole in questo tipo di controversie. E anche, appunto, un superamento dell’ articolo 18, come di altri vincoli legislativi. Perché di fronte a un licenziamento l’ arbitro deciderà “secondo equità”. «Secondo la sua concezione di equità, non secondo la legge», commenta preoccupato Tiziano Treu, senatore del Pd, ex ministro del lavoro, giuslavorista non certo un massimalista visto che porta il suo nome il primo pacchetto sulla flessibilità. Eppure Treuè tra i firmatati di un appello (“Fermiano la controriforma del diritto del lavoro”) contro il disegno di legge del governo giudicato «eversivo rispetto all’ intero ordinamento giuslavoristico». Tra i firmatari il giurista di Bologna Umberto Romagnoli, il sociologo torinese Luciano Gallino, l’ ex presidente dell’ Inps Massimo Paci. Un appello che però resterà nel vuoto. La norma è davvero complessa. In sostanza – modificando l’ articolo 412 del codice di procedura civile – si prevedono due possibilità tra loro alternative per la risoluzione delle controversie: o la via giudiziale oppure quella arbitrale. Già nel contratto di assunzione, anche in deroga ai contratti collettivi, potrebbe essere stabilito (con la cosiddetta clausola compromissoria) che in caso di contrasto le parti si affideranno a un arbitro. Strada assai meno garantista per il lavoratore che in un momento di debolezza negoziale (quello dell’ assunzione, appunto) finirebbe per essere costretto ad accettare. E il giudizio dell’ arbitro sarà impugnabile esclusivamente per vizi procedurali. «Questa volta – sostiene Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil – è peggio rispetto al 2002: allora l’ attacco all’ articolo 18 fu diretto ed era semplice spiegarlo ai lavoratori. Ora l’ aggiramento va ben oltre l’ articolo 18 impedendo addirittura di arrivare al giudice del lavoro». Di «approccio chirurgico», parla l’ ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano (Pd). «Si fanno le “operazioni” – aggiunge – senza andare allo scontro frontale». Preoccupata anche la Cisl, dice il segretario Giorgio Santini: «Non abbiamo pregiudizi nei confronti dell’ arbitrato, ma ora spetta alla contrattazione fissare i paletti di garanzia per l’ esercizio dell’ arbitrato». La legge infatti rinvia a un accordo tra le parti che però se non arriverà entro un anno lascerà spazio a un decreto del ministro del Lavoro. Ma per Giuliano Cazzola (Pdl), relatore del disegno di legge alla Camera: «bisogna smetterla di considerare i lavoratori come dei “minus habens”, incapaci di scegliere responsabilmente e consapevolmente un percorso giudiziale o uno stragiudiziale (l’ arbitrato, ndr ), per dirimere le loro controversie di lavoro»

Reddito di esistenza o lavoro di cittadinanza?

Il Gruppo Lavoro della Libreria delle donne di Milano ti invita a “Immagina che il lavoro immagina che la politica”
Un ciclo di incontri aperti a donne e uomini che vogliono discutere i contenuti dell’ultimo Sottosopra.
Momenti di approfondimento e confronto per valutare le possibili conseguenze politiche del Manifesto. Per consolidare relazioni e per raccogliere sollecitazioni
LUNEDÌ 8 MARZO – ORE 18
Milano, Libreria delle donne, Via Pietro Calvi 29
IL LAVORO È MOLTO DI PIÙ REDDITO DI ESISTENZA O LAVORO DI CITTADINANZA?
Ne parliamo con: Marisa Forcina, Università del Salento, Cristina Morini, giornalista, Laura Pennacchi, economista – Introduce: Giordana Masotto
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Cartoline dalla Cina #7

9 milioni di nuovi posti di lavoro

Quando i cinesi danno i numeri c’è sempre da stare in guardia, ma le recenti novità, vedi superamento economico del Giappone, sembrerebbe confermarli: mentre la crisi costringe a ristrutturazioni aziendali, e licenziamenti, in tutto il mondo, la Cina ufficializza la sua contro tendenza.

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