welfare metropolitano: secondo appuntamento

s.precario 3Se dovessimo scrivere l’elenco di tutte le realtà produttive (industriali e terziarie) che dichiarano di essere in crisi economica e che pretenderebbero di licenziare, non basterebbe lo spazio di questo comunicato stampa.

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Una vita activa fondata sul debito

Il manifesto – 13 Dicembre 2009

INTERVISTA |   di Cosma Orsi

Il modello dominante di attività economica, basato sulla finanza e sulla conoscenza, ha la sua genesi nella deregulation dei mercati e i suoi necessari corollari sono la privatizzazione dei servizi sociali e una flessibilità produttiva e del lavoro La compressione dei salari aggrava la crisi. Servono interventi mirati a garantire continuità di reddito, l’accesso alla formazione e all’apprendimento
La genesi della crisi attuale sta nella deregulation dei mercati finanziari degli anni Ottanta, che ha segnato il tramonto di un regime di accumulazione fondato sulla grande impresa, su un mercato del lavoro incentranto su un comprosmesso sociale tra lavoro e capitale. Da allora, il confine tra sfera produttiva e sfera finanziaria si è progressivamente dissolto e il capitale finanziario e la conoscenza sono divenute gli assi su cui far ruotare la produzione della ricchezza e, cosa più importante, a una precariazzazione dei rapporti di lavoro e una privatizzazione dei servizi sociali.
La tesi presentata in questa intervista da Andrea Fumagalli, che si aggiunge a quelle già pubblicate nella serie «il capitalismo invecchia?», cerca di individuare anche delle forme di resistenza al capitalismo cognitivo.
Le domande fondamentali a cui gli economisti cercano una risposta possono essere riassunte così: qual è la natura di questa crisi; è una crisi finanziaria o reale, ciclica o sistemica? Ha senso un confronto con la crisi del ’29?
La crisi economica attuale è una crisi sistemica e una crisi globale. È la crisi dell’intero sistema capitalistico così come si è andato configurando dagli anni Novanta del secolo scorso. Ha quindi senso un confronto con la crisi del ’29.
La maggiore analogia sta nel fatto che l’attuale crisi può essere definita, a differenza di quella degli anni Settanta, come «crisi di crescita». Essa trova i suoi prodromi agli inizi quando iniziano a configurarsi le caratteristiche del capitalismo cognitivo-finanziario e ha termine la fase di fuoriuscita dalla crisi del paradigma fordista-taylorista. La maggiore differenza sta nel fatto che il meccanismo di accumulazione e valorizzazione oggi dominante è strutturalmente diverso da quello industriale-fordista, fondato su una struttura sociale disciplinare, un modello omogeneo di organizzazione del lavoro (grande impresa, sfruttamento di economie statiche di scala, operaio-massa), sulla preminenza della produzione materiale manifatturiera e un meccanismo di sfruttamento centrato sull’estrazione di plusvalore relativo (sussunzione reale). Oggi, il sistema capitalistico si fonda su una flessibilità produttiva e del lavoro, sul ruolo centrale della conoscenza e dello spazio come fattori produttivi grazie alla diffusione delle tecnologie linguistico-comunicative, lo sfruttamento di economie dinamiche e sociali di scala (apprendimento e rete), l’allargamento della base produttiva anche alla riproduzione e al consumo, il peso crescente della produzione immateriale, la sussunzione totale della vita al capitale (accumulazione bioeconomica). Si tratta di cambiamenti che richiedono interventi di risoluzione alla crisi decisamente diversi da quelli sperimentati con il new-deal roosveltiano dopo il ’29.
Quanto ha giocato, nella loro incapacità di valutare la probabilità della crisi, la predilezione degli economisti mainstream per la formalizzazione matematica, a scapito della conoscenza della storia dell’analisi economica – e della storia in generale?
Molto, al punto che Roger Bootle, managing director di Capital Economics, uno dei più importanti centri di consulenza macroeconomica della City londinese, ha dichiarato che gran parte della moderna teoria economica «è un disastro e una disgrazia» (The Observer, 18 ottobre).
La scienza economica ha sempre rappresentato un «sapere» fondamentale per la gestione della governance politica e sociale. Essa è spesso stata presentata come «oggettiva» e «neutrale» e, a tale fine, la logica formale non si è limitata solo ad essere uno strumento di analisi ma è diventata anche «sostanza» con elementi autoreferenziali, con l’effetto di rendere i modelli teorici funzionali sì alla struttura di potere ma totalmente incapaci di leggere la dinamica del reale. Per quanto riguarda nello specifico i mercati finanziari, va registrata la crisi di gran parte delle teorie sviluppate negli ultimi quaranta anni e che sono alla base dell’operare di tali organismi; tali teorie hanno peraltro fruttato negli ultimi decenni tanti premi Nobel per l’economia a diversi tra i loro inventori. Nel 1997, il premio Nobel dell’Economia fu assegnato a R. Merton e a M. Scholes per lo sviluppo di «un nuovo metodo per la valutazione dei derivati» (modello di Black, Sholes, Merton). Nel 2003 il premio Nobel per l’economia è stato invece assegnato a R. Engle, e a C. Granger, per lo sviluppo di «metodi di analisi delle serie storiche economiche con volatilità variabile nel tempo», applicati poi ai mercati finanziari.
Da tempo commentatori autorevoli avevano fatto notare che la libera e frenetica circolazione dei capitali (risultato delle liberalizzazioni e deregolamentazioni della finanza) mina le basi stesse della democrazia economica, cioè della democrazia stessa. Ritiene che il ruolo della politica, oggi, dovrebbe essere soltanto quello di regolatore del mercato o dovrebbe spingersi più in là?
La libera circolazione dei capitali è l’esito della deregulation dei mercati finanziari e non a caso si sviluppa appieno negli anni Ottanta, quando comincia la transizione al capitalismo cognitivo. I mercati finanziari ne sono oggi il cuore pulsante.
Provvedono infatti, al finanziamento dell’attività di accumulazione, soprattutto nel caso delle produzioni cognitive immateriali (conoscenza e spazio). In secondo luogo, in presenza di plusvalenze, svolgono il ruolo di moltiplicatore dell’economia e redistribuzione, seppur distorta, del reddito. In terzo luogo sostituiscono lo stato come assicuratore sociale (canalizzazione forzata di parti crescente dei redditi da lavoro: tfr, previdenza, istruzione, salute).
Da questo punto di vista, i mercati finanziari rappresentano la privatizzazione della riproduzione della vita. Sono quindi biopotere. Infine sono il luogo dove si cerca di misurare, capitalisticamente, il valore della cooperazione sociale (di apprendimento e di rete) che sta oggi alla base dell’accumulazione. Sulla base di queste considerazioni, occorre prendere atto che non vi è più separazione netta tra sfera produttiva e sfera finanziaria. La transizione al capitalismo bioeconomico cognitivo è stata la reazione politica (sia conservatrice che di centro-sinistra), per uscire dalla crisi del capitalismo industriale-fordista degli anni ’70. È quindi chiaro che finché la politica oggi si limita a essere lo strumento di governance (meglio: il tentativo di governance) del capitalismo contemporaneo, parlare di regolazione dei mercati finanziari è del tutto fuori luogo e ipocrita. In tale contesto, parlare di democrazia è puro ideologismo. La democrazia (intesa, qui, come la supremazia della res pubblica/commonia sulla res oeconomica) è morta negli anni Settanta.
Molti ritengono che la soluzione della crisi non possa avvenire che sull’asse Washington – Pechino. È ipotizzabile che il modello europeo di stato sociale, se ancora di un modello europeo si può parlare, possa rappresentare un riferimento per politiche economiche alternative tanto al Washington Consensus, quanto al capitalismo di stato cinese? O c’è il rischio che nel futuro assetto economico-politico mondiale l’Europa (con il sud del mondo) venga confinata ad una posizione marginale?
La crisi attuale rimette in discussione l’egemonia finanziaria degli Stati Uniti. La fuoriuscita da questa crisi segnerà necessariamente uno spostamento del baricentro finanziario verso oriente e in parte verso il Sud (America). Già a livello commerciale, i processi di internazionalizzazione hanno sempre più evidenziato uno spostamento del centro produttivo verso oriente e verso il Sud del mondo.
In questa prospettiva, l’attuale crisi finanziaria mette fine a una sorta di anomalia che aveva caratterizzato la prima fase di diffusione del capitalismo cognitivo: lo spostamento della centralità tecnologica e del lavoro cognitivo verso India e Cina in presenza del mantenimento dell’egemonia finanziaria in Occidente. Il primato tecnologico e quello finanziario tendono a ricongiungersi anche a livello geo-economico. In tale contesto, cresce anche l’instabilità internazionale, dal momento che non sembra ravvisabile al momento una stabile gerarchia valutaria internazionale (un impero senza egemonia). In questa situazione di «contesa» l’Europa potrebbe giocare un ruolo fondamentale, ma è nelle condizioni di non poterlo fare, perché sconta il fatto di aver puntato esclusivamente sull’unione monetaria (primato della ragione economica sulla ragione sociale), senza preoccuparsi di creare le premesse per una politica europea fiscale con un budget autonomo dall’influenza degli stati-nazione membri. Non ci sono così gli strumenti per un intervento socio-economico coordinato in grado di poter attutire i contraccolpi della crisi economica. È un ulteriore sintomo del fallimento della costruzione economica dell’Europa.
L’attuale aumento della spesa pubblica non riguarda la spesa sociale (istruzione, sanità, pensioni e sussidi di disoccupazione), bensì il salvataggio di banche, società finanziarie e grandi gruppi. Ciò avviene però comprimendo i redditi da lavoro (salari reali e le pensioni): un intervento dal lato dell’offerta, anziché della domanda, è la giusta strategia per uscire dalla crisi, tornando a livelli accettabili di disoccupazione?
L’utilizzo della spesa pubblica ha la finalità di ristabilire la capacità di governance dei mercati finanziari. L’attuale crisi finanziaria mostra che non è possibile una governance istituzionale dei processi di accumulazione e distribuzione fondati sulla finanza. I tentativi di governance (ex-post) che sono stati varati nei mesi scorsi non sono in grado di incidere più tanto sulla crisi in atto. E non può essere diversamente, se si considera che la Bri (Banca dei Regolamenti Internazionali) stima il valore dei derivati in circolazione in circa 556 trilioni di dollari (pari a 11 volte il Pil mondiale). Nel corso dell’ultimo anno, tale valore si è ridotto di oltre il 40%, distruggendo liquidità per oltre 200 trilioni di dollari. Ciò ha significato distruzione reale di liquidità per circa 18 trilioni di dollari (dati Bri). Ora, gli interventi monetari di iniezione di nuova liquidità finora realizzati in tutto il mondo non superano i 9 trilioni di dollari: una cifra insufficiente per compensare le perdite. È tale differenza che spiega come mai, nonostante i tanti timori, non vi sia stato finora nessun effetto inflazionistico. La creazione di nuova moneta è finora inferiore a quella distrutta dalla crisi.
Tuttavia, a partire da giugno 2009, il calo del Pil tende ad arrestarsi. La compressione dei salari e dei redditi ha l’effetto di peggiorare la situazione di crisi. Bisognerebbe invece rivitalizzare la cooperazione sociale alla base dell’accumulazione odierna con interventi mirati a garantire continuità di reddito, accesso ai beni comuni relazionali, di formazione, di apprendimento (commonfare). Ma tali misure (che si traducono in una regolazione salariale basata sulla proposta di basic income e in una capacità produttiva fondata sulla libera e produttiva circolazione dei saperi) minano alla base la stessa natura del sistema capitalista, ovvero la ricattabilità del reddito dal lavoro e la violazione del principio di proprietà privata dei mezzi di produzione (ieri le macchine, oggi la conoscenza). In altre parole, un compromesso sociale (new deal) adeguato alle caratteristiche del nuovo processo di accumulazione è solo un’illusione teorica, ed è impraticabile da un punto di vista politico. Siamo dunque in un contesto storico in cui la dinamica sociale non consente spazio allo sviluppo di pratiche e soprattutto «teorie» riformiste. Ne consegue che, poiché è la praxis a guidare la teoria, solo il conflitto e la capacità di creare movimenti «dal basso» possono consentire – come sempre – il progresso sociale dell’umanità.
Quale sarà il prezzo che le future generazioni dovranno sopportare a fronte delle forme e delle dimensioni dell’indebitamento a cui oggi i governi hanno fatto ricorso nel tentativo di non far naufragare l’economia mondiale?
Il prezzo che le future generazioni dovranno sopportare è inversamente proporzionale alla loro capacità di mobilitazione e conflitto, oggi e nell’immediato futuro.

Copenhagen/movimenti. Punto e a capo

Molto probabilmente fallirà il COP15 di Copenhagen, anche se alla fine usciranno dichiarazioni possibiliste circa un accordo che richiama Kyoto, ma senza l’enfasi dimostrata dai capi di stato e di governo dodici anni fa.

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Verso il welfare metropolitano

s.precario 3C’è chi usa la crisi economica per alzare il livello di scontro economico: approfitta della situazione di incertezza per chiudere siti produttivi efficienti e speculare sul nuovo business milanese dell’Expo2015 e sappiamo chi sono. C’è chi risponde a tale situazione, limitando il proprio intervento al solo ambito lavorativo, come se politiche del lavoro e politiche di welfare appartenessero a due sfere d’azione distinte.

Noi non siano ne gli uni né gli altri.

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Alle famiglie aiuti in mille rivoli. Il bilancio degli interventi

BONUS FAMIGLIA
In base ai dati del ministero dell’Economia sono state accolte 4.711.558 richieste ed erogati 1.582 milioni di euro (su 2, 4 miliardi preventivati), per un valore medio del bonus di 315 euro. secondo il Caf Acli, 54% delle risorse sono state assegnate a nuclei con un solo componente

SOCIAL CARD – 650mila – Sono le carte ricaricate finora suite 820mila tessere emesse. La somma totale della spesa arriva fino a 338 milioni. Le prime stime indicano che appena i 15% delle card è andato a famiglie con figli. Il Governo sta valutando l’ipotesi di allargare le maglie della card (bambini fino a 6 anni e redditi più alti)

BONUS ELETTRICO – 1 milione – Sono le famiglie in condizioni di disagio economico già inserite nel ciclo di fatturazione delle bollette elettriche. Il valore del bonus va da 58 euro per una famiglia di uno o due persone a 130 euro per più di 4 persone. Le domande totali arrivate da gennaio a ottobre sono state l, 2 milioni

BONUS NUOVI NATI – l5000 euro- Le banche finanziano fino a 5mila euro a tassi vantaggiosi da restituire in 5 anni alle famiglie con bebè nati ne2009, 2010 e 2011. Il tasso è fissato a 50% di quello effettivo medio: il 4,8% ai tassi correnti. Le operazioni sono garantite dal fondo per le politiche della famiglia fino a 75%

BONUS GAS – 15% lo sconto sulle bollette del gas che si pub richiedere dal 15 dicembre (ma con effetto retroattivo a tutto 2009) dalle persone con un Isee non superiore a 7.500 euro o non superiore a 20mila euro per le famiglie numerose o più figli a carico Il bonus gas è cumulabile con il bonus elettrico

L’obiettivo dichiarato era quello di aiutare le famiglie più povere ad arginare la crisi. Ma il bilancio, a quasi un anno dal battesimo e quando sono ormai chiusi i termini per presentare le richieste, racconta una storia diversa: il bonus famiglia, a dispetto del nome, ha premiato soprattutto i nuclei con una persona (al massimo due)

Secondo le statistiche del ministero dell’Economia e delle finanze, le domande accolte sono state oltre 4, 7 milioni, che hanno ricevuto in media 300 euro ciascuna. Importa che corrisponde appunto alla quota una tantum assegnata alle famiglie composte da due persone, con un reddito non superiore a 17.000 euro per anno. A dominare la platea dei beneficiari, secondo le proiezioni del Caf Acli su un campione di 300mila domande passate al setaccio, sarebbero i nuclei mono-personali, con il 54% delle richieste accolte, seguiti da quelli con due persone (27% di erogazioni). Un bel distacco dalle famiglie di almeno tre elementi: il bonus è andato ad appena i7% delle coppie con un figlio, al 6% di quelle con quattro componenti e al 2% di quelle con cinque. Un risultato atteso, per stessa ammissione di Carlo Giovanardi, sottosegretario con delega alla famiglia: << Il bonus è stato sbilanciato a favore di single e coppie senza figli». E anche la social card-che avrebbe dovuto raggiungere anziani poveri e famiglie con bambini fino a tre anni, ha aiutato solo primi: secondo il Caf Acli su 65omiLatessere ricaricate, l’85% è stato assegnato a over 65, mentre appena il 15% ha raggiunto i nuclei con bambini. Ma allora è vero che la famiglia è dimenticata da un sistema di welfare incapace di fornire i strumenti adeguati per proteggerla dai rischi e per rispondere a nuovi bisogni, come sostengono in molti?

Di sicuro c’è attesa per nuovi interventi da parte del Governo, che potrebbe varare un pacchetto famiglia in occasione del via libera alla Finanziaria 2010: tra le ipotesi un nuovo bonus e una social card estesa ai bambini fino ai sei anni e con più ampi requisiti di reddito. <<Dal presidente Berlusconi aggiunge Giovanardi -ho avuto conferma dell’impegno per introdurre ïl quoziente familiare, compatibilmente con la situazione economica, e di sicuro per l’anno prossimo il fondo per le politiche della famiglia avrà la stessa d dotazione di quest’anno, pari a 186 milioni di euro». In ogni case), ci sono misure <<che stanno dando buoni risultati- puntualizza il sottosegretario -: per esempio, il bonus elettrico, che agevola le famiglie numerose» con risparmi annui fino a 130 euro per i nuclei composti da oltre 4 persone. E che ha raggiunto un milione di famiglie dall’inizio del 2009. A partire dal 15 dicembre,poi, sarà possibile richiedere il bonus gas: un taglio de15%% circa sulla bolletta, da applicare ai consumi del prossimo inverno, ma anche con effetto retroattivo a tutto il 2009. Inoltre, è appena partite il bonus bebè per i nati nel 2009, 2010 e 2011. La formula prevede un finanziamento bancario fino a 5mila euro, da restituire in cinque anni a tassi vantaggiosi. << Per quest’anno-chiarisce Giovanardi i potenziali beneficiari sono 500mila». Ma non mancano le critiche. <<Le risorse – rileva Daniela Del Boca, docente di economia politica all’Università di Torino e direttore del centro Child – sono poche (85 milioni di euro in tre anni, ndr) e non sarà certo la possibilità di avere un prestito a tassi agevolati a incentivare nuove nascite».

Secondo Del Boca bisognerebbe puntare sui servizi di cura: << Più asili nido insieme a sgravi fiscali renderebbero davvero meno costosa la scelta di avere figli». Nonostante gli oltre 40mila posti creati dal 2005 l’Italia resta lontana dall’obiettivo europeo fissato nel Trattato di Lisbona, che impone di garantire a un bambino su tre i servizi per la prima infanzia entro il 2010. Per ora ne beneficia uno su sette.<< L’assegnazione delle risorse alle regioni per potenziare le strutture per la prima infanzia – precisa Giovanardi -è proseguita anche quest’anno, con la messa in campo di 100 milioni, cui se ne sommano altri 18 per creare posti all’interno dei nidi della pubblica amministrazione».Perché quando si parla di sostegno alla famiglia- aggiunge Giovanardi – è necessario considerare tutti i livelli: statale, regionale e comunale, con l’auspicio che <<vengano sempre garantiti i servizi essenziali». Secondo un’indagine di Legautonomie gli interventi dei comuni si concentrano proprio sui nidi d’infanzia, insieme a refezione scolastica, assistenza pre e post- scuola e trasporto pubblico, mentre alcune regioni prevedono bonus famiglia e tagli alle spese annuali per una serie di servizi che pesano sul bilancio domestico.
Data :09/11/09, dal sole24ore