STEFANIA BOLESO, 39 ANNI, DIECI ANNI DA RESPONSABILE MARKETING: ERO  PRONTA A MILLE SACRIFICI 
«Io, manager tradita dall’azienda.  Dopo il parto costretta a licenziarmi» 
Storia di una bocconiana. Convocata dal direttore appena rientrata:  «Grazie, non ci servi più»
Mamma e figlia fotografate nella loro casa (Fotogramma)«Buongiorno  dottoressa. Il direttore generale la aspetta nel suo ufficio». La voce  della segretaria lasciava intuire un certo distacco. Strano. Torni dalla  maternità, di solito i colleghi ti accolgono con un sorriso e mille  domande. Come va la piccola? Piange? Come ti sei organizzata a casa?  Stefania Boleso, 39 anni, marketing manager di Red Bull Italia  (multinazionale austriaca presente in oltre 180 Paesi, ndr) non ha  voluto ascoltare quel brivido di disagio. Come uno sportivo che si è  preparato al meglio, dopo dieci mesi di maternità era stanca di  immaginare la gara imminente. Baby sitter assunta a tempo pieno, marito  pronto a dare una mano nelle emergenze: meglio scendere in campo e  giocare. E allora via, dal capo. «Buongiorno Stefania. Scusa ma… Per  motivi di costi la tua posizione non è più prevista». Tradotto: devi  andartene. Con le buone o con le cattive. «Non dimenticherò mai  quell’attimo — racconta adesso Stefania Boleso —. Erano le dieci del  mattino del 30 settembre scorso. E’ stato come essere lasciata dal primo  amore». 
Una firma per cancellare oltre dieci anni di lavoro e un percorso  professionale da manuale: laurea in Bocconi con 110, un anno e mezzo in  una multinazionale americana (Sarah Lee) «per farmi le ossa» e poi  l’ingresso in Red Bull quando il marchio in Italia era sconosciuto e la  filiale tutta da costruire. Oggi la bibita è famosa anche nel nostro  Paese. E l’azienda in Italia dà lavoro a 150 dipendenti. «Mi hanno fatto  una proposta economica. Ho rifiutato—racconta oggi Boleso davanti a una  tazza di caffè —. Ho deciso di tenere duro per orgoglio. Gestivo un  budget di 18 milioni di euro ed ero il punto di riferimento di 28  persone: tutta l’area marketing. Durante la maternità ero sempre rimasta  in contatto con l’azienda. Per dire, mia figlia doveva nascere il 25  dicembre e io il 18 ero a una riunione. A quel progetto ho dato l’anima.  Invece l’azienda non mi ha nemmeno messa alla prova. Come si sono  sbagliati. Io ci sarei riuscita a mettere insieme la famiglia con il  lavoro. Avrei dato il sangue pur di farcela». 
Dopo il «gran rifiuto», per Stefania Boleso sono arrivati momenti difficili. «Sono stata spostata in un locale a pian terreno riadattato a ufficio, distante cinque piani dal resto dell’azienda. Mi hanno tolto la responsabilità del marketing. In teoria avrei dovuto lavorare con due colleghe. Peccato che entrambe fossero in maternità. Insomma, ero sola». Boleso ha resistito poche settimane. «Un giorno mi è venuto un attacco di panico, ho creduto di morire. Al pronto soccorso mi hanno detto che stavo rischiando l’esaurimento. Alla fine ho mollato. Il 19 dicembre ho firmato la resa. Ho scambiato i miei diritti con una buonuscita. Non avevo alternativa: dopo aver perso cinque chili e la serenità, non mi sono sentita di imporre altre tensioni alla mia famiglia». Che cosa farà adesso, Stefania? «Questa esperienza mi ha cambiata — risponde la manager —. Ieri criticavo chi dava meno del 110% sul lavoro. Adesso sto cercando di attribuire un nuovo senso agli ultimi dieci anni. Ho deciso di ripartire raccontando questa storia. “Guarda che poi nessuno ti offrirà più lavoro”, mi ha detto qualcuno. Il rischio c’è. Ma credo vada corso. Quantomeno per aiutare mia figlia a vivere in un mondo migliore».
Rita Querzé 
22 febbraio 2010








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CARISSIMA STEFANIA
capisco benissimo la situazione io non in un azienda mi è successo ma bensì in tre aziende senza aver fatto figli aver lavorato per 15 ore al giorno senza neppure un giorno di malattia ed ero una semplice impiegata ma mi hanno usato come responsabile
da queste esperienze sono uscita ultimante con la voglia di vendetta mi spiace dirlo penso non lo farò mai perchè dopo due espierenze ci sono ricaduta ancora – sono ancora alla ricerca di un posto di lavoro UN FORTE ABBRACCIO