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Qulache giorno fa, leggendo la recensione (questa) di un libro sulla precarietà, “La generazione tradita”, scopriamo che il Giannini vice direttore di Repubblica ha un’idea tutta sua di San Precario. Dice lui:” è il disperato «culto» moderno di San Precario: esige che un lavoro qualsiasi, malpagato e senza uno straccio di garanzia, sia comunque meglio di nessun lavoro”. Dal contesto si evince che il Nostro non ne sa niente del vero culto del patrono dei precari che esige tutt’altro che rassegnazione. Per questo gli abbiamo mandato una letterina, che trovate sotto, giusto per mettere i puntini sulle “i”.
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Oggi pomeriggio a Milano alle ore 17.00 si è tenuto un presidio di solidarietà ai 6 lavoratori immigrati che da Sabato scorso occupano il cantiere del metrò di V. Faustino a Brescia. Al termine del presidio, nove
immigrati sono saliti nel tardo pomeriggio sulla ex torretta “Carlo Erba”del Maciachini center, in Via Imbonati, angolo Via Bovio a 30 metri dialtezza.
Loro intenzione è rimanere sulla ciminiera finché non si trova una soluzione ad una situazione paradossale, che impedisce, secondo la circolare Manganellli (nomen nominis), di poter usufruire di un permesso di
soggiorno (in attesa di occupazione) per chi ha fatto la richiesta nella “sanatoria truffa” come colf e badante. Ma la battaglia, in solidarietà con Brescia, non si limita a questo. Le richieste sono tanto chiare quanto ragionevoli:
1. Allungamento del permesso di soggiorno per chi ha perso il lavoro, in seguito alla crisi economica;
2. Applicazione della direttiva 2009/52/CE del Parlamento Europeo o del Consiglio, 18, 18 giugno 2009, relativa al permesso di soggiorno per chi denuncia il datore di lavoro in nero o in condizione di super-sfruttamento;
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A Milano flessibili l’80% dei nuovi contratti. Co.co.pro. e partite Iva: «Come vivere con 400 euro al mese?»
MILANO – Qualcuno andrebbe sotto la soglia dell’assegno sociale. Qualcun altro la supererebbe di poco. Almeno se la situazione rimarrà immutata. La pensione sta diventando un miraggio per una generazione. Cioè quella precaria. Quella dei contratti parasubordinati e governata dall’incertezza. «Più che altro la previdenza è un incubo. È un ulteriore problema alle difficoltà quotidiane». E c’è chi scherza: «Forse sarebbe meglio morire prima». Ma intanto, calcoli alla mano, per tantissimi, quando arriveranno i soldi dell’Inps basteranno solo per due settimane. O almeno nei migliori dei casi.
Quanti sono i precari
«Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale», aveva detto Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Inps. Una battuta che ha scatenato commenti su Internet. E tanta indignazione. «Avevano promesso che questi contratti sarebbero andati a nostro vantaggio. La realtà è molto diversa».
Già ma quanti sono i giovani e i meno giovani precari? «Sono tanti. E sempre in crescita», sottolinea Andrea Fumagalli, docente di Economia politica all’Università di Pavia e impegnato nella rete San Precario. Basti pensare che in città «il 78% dei nuovi contratti sono atipici». Un dato che per l’Osservatorio del mercato del lavoro della Provincia è ancora più alto: «Fino al 90%». Insomma la precarietà è una «condizione» per quasi tutti gli under 40. E oltre. «Non è più una tendenza, ma una realtà in tutte le metropoli. A cominciare da Milano, dove c’è una grande svalorizzazione del lavoro, cioè non viene pagato adeguatamente», continua Fumagalli. Soprattutto di quello cognitivo. «Dove si usano le capacità intellettuali». E gli esempi sono tanti: dalla moda al design. Passando per insegnanti e ricercatori.
Continuità di reddito
La parola d’ordine è cambiare. Partendo da «interventi sul mercato del lavoro e sulle politiche di welfare». Per esempio? «Garantire una continuità di reddito. Poi i servizi: mobilità, scuola, Internet. Tutto quello che può fare autoformazione». È quello che chiedono gli attivisti di San Precario, che raggruppa lavoratori atipici e cerca di tutelarne i diritti. Per questo hanno incontrato i quattro candidati alle primarie del centrosinistra in vista delle elezioni comunali. Da Pisapia, Boeri, Onida e Sacerdoti, hanno voluto chiarimenti: «Per quel che riguarda lo Stato sociale».
Una vita sospesa
Ma in attesa di cambiare, c’è chi, ogni giorno cerca di sopravvivere. «Cosa vuol dire essere precario? Tanti mal di pancia e insonnia. È logorante da un punto di vista fisico. Ci si sente precari in tutto». Luca Loizzi, 36 anni, professore di Lettere, riassume così un sentimento condiviso da migliaia di persone. «Ho cominciato a lavorare nel ’97 in una scuola privata. Tutto in nero». Poi la scuola di formazione e il primo «vero» contratto. «Ogni anno un posto nuovo, con i colleghi che ti trattano come l’eterno ragazzo. Anche se oramai hai anni di servizio». Poi ci sono le rinunce: «Niente auto, poche uscite». Quando si parla di famiglia, sospira: «Meglio non averla. Già è difficile in queste condizioni».
Lo sa bene Giuseppina Mazzacuva, 32 anni operatrice telefonica, un figlio e un altro in arrivo. «Mi è scaduto il contratto a marzo e visto che sono incinta non mi hanno richiamato». Il tema della maternità precaria è insidiosa e soprattutto «poco tutelata». Alla pensione non ci pensa: «E come faccio? Quella privata costa e non posso fare altre rinunce. Un mutuo sulle spalle, i bambini, e tante preoccupazioni.
Diciassette contratti e tre cause
Gli stessi timori che ha Ruggero Ricciardi, 29 anni disoccupato dopo anni in Fiera. «Non sono stato rinnovato dopo una protesta perché non ci pagavano». E ora è a caccia di un lavoro, ma «c’è la crisi». L’elemento ricattabilità è ricorrente per ogni contratto «atipico». E in una giungla di Co.co.co, Co.co.pro, interinale e tempo determinato, orientarsi è complicato. «Prima di ottenere l’indeterminato, ho firmato 17 contratti e ho fatto tre cause, tutte vinte», spiega Stefano Mansi, 40 anni, impiegato comunale, due figli e il sogno di fare il giornalista. «Lo facevo, poi è arrivata la famiglia e, per fortuna, sono riuscito a farmi assumere». Una cosa vuole sottolineare: «Non è una scelta fare il precario. Oramai è una condizione di un’intera generazione». Lo sa bene anche Barbara Falciai, 42 anni, educatrice: «ho perso il conto di quanti contratti ho firmato. La pensione? Da anni me ne sono dimenticata».
Benedetta Argentieri
05 novembre 2010
di Piergiovanni Alleva
Tra le molte novità negative che si leggono nel “collegato lavoro” – ossia nella pessima legge antisociale sulla quale il centrodestra ha ritrovato, non per nulla, una transitoria unità – ne va subito segnalata, “a sirene spiegate”, una assai grave e quanto mai pericolosa per il destino di decine e centinaia di migliaia di lavoratori precari, e per la quale occorre subito organizzare un rimedio.
E’ infatti una questione da cui può derivare ai precari un grande male, ma che può anche – e questo è l’aspetto singolare – rovesciarsi nel suo contrario, in un grande fatto positivo, ossia nel sospirato ottenimento di un posto di lavoro stabile, se sindacati, partiti progressisti, associazioni democratiche e, ovviamente, gli stessi lavoratori sapranno esser capaci di un adeguato sforzo sia informativo che organizzativo.
Ecco di cosa si tratta. Fino ad ora, ossia fino all’entrata in vigore del “collegato lavoro”, era possibile impugnare in giudizio i contratti di lavoro precario di qualsiasi tipo (a termine, di lavoro somministrato o interinale, di lavoro “a progetto” ecc.), che presentassero illegittimità formali e sostanziali e chiederne la trasformazione in contratti di lavoro a tempo indeterminato, in qualsiasi tempo successivo alla data di scadenza del contratto stesso, senza pericolo di incorrere nella “tagliola” del termine di decadenza di 60 giorni previsto, fin dalla legge n. 604/1966, per la impugnazione di un normale licenziamento da un normale contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. In altre parole, il lavoratore licenziato da un contratto di questo tipo doveva e deve “farsi vivo” con una lettera raccomandata di impugnazione entro 60 giorni dal licenziamento: se spediva questa lettera poi aveva cinque anni per iniziare la controversia giudiziaria, ma se non la spediva il suo licenziamento, anche se illegittimo, diventava inoppugnabile e irrimediabile.
Invece, il lavoratore precario che fosse stato estromesso dal posto di lavoro per scadenza del termine previsto nel contratto di lavoro precario poteva far valere la eventuale illegittimità e ottenere la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato anche dopo molti mesi e persino anni dalla sua estromissione dal posto di lavoro. Era giusta questa differenza e come si spiegava dal punto di vista tecnico-giuridico?
Certamente era giusta, perché rifletteva la diversità di atteggiamento psicologico tra i due lavoratori: quello titolare di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che viene licenziato prende subito atto della circostanza che, seppur ingiustamente, la ditta non vuole avere più nulla a che fare con lui, che lo scaccia per sempre e quindi 60 giorni sono sufficienti per decidere se entrare o meno in controversia.
Il lavoratore precario il quale invece viene “lasciato a casa” per il fatto “obiettivo” della scadenza del contratto, senza che gli venga fatto addebito alcuno, spera sempre che la ditta lo richiami con ulteriori contratti precari, e che prima o poi lo stabilizzi: per questo è molto restio (…) ad impugnare il contratto precario appena scaduto, anche se sospetta che sia illegittimo, perché non ha, ovviamente, la certezza del risultato giudiziale e teme, intanto, di guastarsi con quel datore di lavoro, perdendo ogni speranza di richiamo.
Solo dopo molto tempo, a mesi o anni di distanza, quando ogni speranza sarà svanita, si deciderà liberamente alla controversia.
Dal punto di vista tecnico-giuridico la differenza si spiega perché il licenziamento è un atto di volontà del datore di lavoro, che scioglie un rapporto contrattuale esistente, e quindi va impugnato nei 60 giorni, mentre la comunicazione che “lascia a casa” il lavoratore precario per scadenza del termine non è un atto di volontà ma solo un atto “di scienza”, una sorta di fotografia della situazione. Però, se la situazione era in realtà diversa perché il contratto precario era per qualche motivo illegittimo e quindi automaticamente trasformato dalla legge in rapporto a tempo indeterminato, questa è la situazione che viene poi accertata dalla sentenza, senza bisogno di previa impugnazione nei 60 giorni della nullità del termine di scadenza. Contraddicendo a questa giurisprudenza consolidata, il “collegato lavoro” ha introdotto la necessità di impugnare con raccomandata il contratto precario nel termine di 60 giorni dalla sua (apparente) scadenza e una volta fatto questo di procedere poi in giudizio nei 270 giorni successivi. Dal punto di vista della teoria giuridica si tratta di obbrobrio (in linea generale le nullità possono essere fatte valere in qualsiasi tempo), ma quel che importa è la portata giuridico-politica dell’operazione: si tratta niente di meno che di una sorta di “sanatoria permanente” delle diffusissime illegittimità dei contratti di lavoro precari, perché il lavoratore dovrebbe impugnare entro 60 giorni dalla scadenza, e, come detto, quasi mai lo farà, nella speranza di esser richiamato.
E poi non potrà più farlo.
E’ un calcolo cinico e vile, del tutto degno di quel gruppetto di transfughi ex sindacalisti che sono divenuti gli esperti e protagonisti della politica antisociale del berlusconismo ed è un calcolo che occorrerà contrastare in sede di Corte costituzionale oltre che di programma per un futuro diverso governo.
Ma vi è di peggio, molto di peggio e veniamo finalmente al punto che massimamente interessa: cosa accade, allora, per i contratti precari illegittimi già scaduti da più di 60 giorni al momento di entrata in vigore del “collegato lavoro”? Sono decine e centinaia di migliaia i lavoratori ex titolari dei medesimi che avrebbero potuto liberamente ancora per mesi e anni in futuro richiedere la loro trasformazione in contratti di lavoro a tempo indeterminato domandando al giudice sia la reintegra in servizio sia le competenze arretrate. Ovviamente, neanche il “collegato lavoro” ha potuto, per evidenti ragioni di costituzionalità, stabilire una semplice cancellazione retroattiva del diritto di azione per l’impugnazione di rapporti precari già scaduti da più di 60 giorni ed allora ha previsto, invece, che possano essere impugnati entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore. Ciò si legge nell’articolo 32 comma IV, lettere b e d.
E’, comunque, un gigantesco colpo di spugna, una enorme sanatoria, perché trascorsi da adesso 60 giorni tutte le illegittimità passate saranno cancellati in quanto quelle centinaia di migliaia di lavoratori perderanno il diritto di far trasformare il vecchio contratto precario illegittimo in un rapporto dilavoro a tempo indeterminato valido per il passato e per il futuro. Ma poiché del “collegato lavoro” nessuno parla, ed a quei pochi che ne parlano èsemplicemente sfuggita questa maxi sanatoria annidata tra le sue previsioni, il piano del centrodestra e del padronato avrebbe, nell’insieme, ottime possibilità di riuscita.
Per fortuna c’è un rovescio della medaglia: quella previsione per cui bisogna, in sintesi, impugnare ora o mai più nei 60 giorni, è anche una gigantesca “chiamata alle armi”, una fortissima sirena di allarme, purché qualcuno voglia suonarla, che chiamerà a raccolta tutti coloro che sono stati titolari di rapporti precari, allo scopo di spedire subito, senza guardare per il sottile, una raccomandata di impugnazione dell’illegittimità del contratto precario e di richiesta di trasformazione a tempo indeterminato.
Poi, nei 270 giorni successivi, si faranno analizzare i contratti stessi da esperti che individueranno esattamente le illegittimità: non bisogna però temere di avere – con l’impugnazione immediata nei 60 giorni – “sparato a vuoto”, perché tutti gli avvocati lavoristi sanno che almeno il 90% dei contratti precari è illegittimo, alla stregua della stessa “legge Biagi” e perfettamente trasformabile in rapporti a tempo indeterminato.
La “cattiva novella” del “collegato lavoro” può allora divenire invece una buona, buonissima novella, perché darà la sveglia alle decine e centinaia di migliaia di persone, ex lavoratori precari, che oggi sono a casa nella depressione e nell’angoscia della disoccupazione. Essi non lo sanno, ma in realtà hanno in tasca il biglietto vincente della lotteria, ovvero il passaporto per un contratto di lavoro stabile, oltre che per un risarcimento. Basta che adesso corrano senza perder tempo, con il vecchio contratto precario scaduto in mano a far scrivere e spedire la lettera di impugnazione che deve partire nei 60 giorni. Ma dove devono andare in concreto? Da un esperto, da un legale lavorista, certamente, ma soprattutto da quelle organizzazioni, e cioè sindacati, partiti progressisti, associazioni democratiche alle quali spetta il compito complesso, ma tutt’altro che impossibile, di pubblicizzare al massimo con ogni mezzo di informazione quanto abbiamo qui spiegato, e poi di organizzare, con “banchetti”, “sportelli”, “punti di incontro” la raccolta delle firme e la spedizione delle raccomandate.
Sessanta giorni sono pochi – è vero – ma se vi è la volontà politica sono più che sufficienti, agendo tutti senza gelosie di organizzazione, in uno sforzo comune, al quale ci sembra si addica molto il detto secondo il quale «poco importa che il gatto sia nero o bianco; importa che prenda i topi».
Se c´è una cosa che gli Stati Generali della Precarietà hanno confermato, è la potenza della condizione precaria e la matura consapevolezza delle sue ragioni.
La due giorni di dibattiti, incontri, contatti e contaminazioni che si sono svolti a Milano il 9 e 10 ottobre hanno infatti mostrato una ricchezza di partecipazione, comunicazione e proposte come non si vedeva a tempo, soprattutto in una realtà come quella milanese, asfissiata dalle politiche securitarie avvelenata dalla repressione e dal ricatto della precarietà. Circa 500 persone in due giorni hanno partecipato ai 9 workshop che hanno caratterizzato questa prima edizione degli Stati Generali della Precarietà. Moltissime le realtà precarie presenti, gli attivisti e i cittadini interessati ad approfondire un argomento, la condizione di instabilità di vita, spesso trattato con studiata superficialità dai gruppi dirigenti, economici sindacali e politici. Prosegui la lettura »
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