San Precario 16° Personaggio

Torino, XXIV Salone Internazionale del Libro, 12-16 Maggio 2011-05-09 Memoria. Il Seme del Futuro

L’ apoteosi della precarietà
SAN PRECARIO 16° PERSONAGGIO

15 sono i personaggi italiani scelti dai curatori della mostra 1861-2011. L’Italia dei Libri: ‘Protagonisti il cui pensiero – e in molti casi la stessa ‘vita esemplare’ – ha travalicato il confine della pagina letteraria ed è diventato matrice dell’identità di noi italiani d’oggi’, organizzata per questa edizione del salone del Libro.

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L’eccezione che conferma la regola: votiamo per Mirko Mazzali

Lo ribadiamo: per cambiare la situazione in cui viviamo non esistono scorciatoie, dobbiamo organizzarci in una massa critica capace di spingere le rivendicazioni necessarie a liberarci dalla precarietà. I pilastri su cui costruire questa proposta politica per noi sono da sempre la ramificazione sul territorio dei punti san precario, agenzie di conflitto e complicità fra gli atipici, la cospirazione precaria, il reddito, i diritti e la cittadinanza per tutti e tutte.

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Disoccupazione: “Tutta colpa dei giovani”

Il Fatto Quotidiano – 21 aprile 2011

Il governo, a partire dal ministro Tremonti, sostiene che i ragazzi devono riscoprire i lavori umili, ma nessun dato conferma questa tesi. Datagiovani spiega: “I questionari Istat non danno indicazioni sui lavori rifiutati”

La tesi ha il fascino della semplicità: se la disoccupazione giovanile è al 30 per cento, la ragione è che i giovani non accettano i lavori disponibili perché non li considerano alla loro altezza. Lo ha detto il ministro Giulio Tremonti, da Washington pochi giorni fa, dicendo che gli immigrati sono meno schizzinosi. Ieri il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini ha scritto una lunga lettera al Corriere della Sera spiegano che il governo aiuterà i ragazzi a “superare il pregiudizio verso l’istruzione tecnica e professionale”. Una diffidenza che “per troppo tempo ha allontano i nostri giovani da prospettive occupazionali che consentono invece una straordinaria realizzazione di sè”. La tesi non è condivisa solo dal governo, ma è stata rilanciata dal Censis di Giuseppe De Rita e da editorialisti come Dario Di Vico che, sempre sul Corriere, invitava ad arruolare “i testimonial più trendy” per spiegare il fascino del lavoro manuale. Peccato che tutte queste certezze non si fondino sui numeri. Sono atti di fede.

Non c’è alcuna indicazione sul fatto che la difficoltà di reperimento dipende dall’età, di solito deriva dalla mancanza di professionalità adeguata o di esperienza.  “Non c’è alcun dato ufficiale sul fatto che i giovani rifiutino lavori poco appaganti”, spiega Michele Pasqualotto, ricercatore della società Datagiovani, specializzata in analisi del mercato del lavoro giovanile. Spiega ancora Pasqualotto: “Tra le domande del questionari Istat, su cui si fondano tutte le analisi, non c’è n’è alcuna sui lavori rifiutarti, viene soltanto chiesto che cosa sarebbero disposti a fare per lavorare”.

Su cosa si fonda, allora, tutta questa necessità di riscoprire il lavoro manuale? Su alcuni dati piegati a sostegno dello snobismo dei ragazzi. Il rapporto Unioncamere-ministero del Lavoro studia le richieste delle imprese: stando alle previsioni di assunzioni relative al 2010 (le più recenti a disposizione) e alla difficoltà di reperimento del personale ricercato, risulta che è difficilissimo trovare 2860 meccanici per autoveicoli, una rarità i montatori e riparatori di serramenti e infissi (ne mancano 1350). Questo significa che tutti i giovani devono diventare meccanici o montatori di infissi? Assolutamente no, è lo stesso rapporto Unioncamere a precisarlo. “Se si eccettua il 2009 [quando il Pil è crollato del 5 per cento], le assunzioni di laureati e diplomati programmate dalle imprese sono continuamente aumentate in termini assoluti, segnando entrambe, in ciascun anno, variazioni superiori alla media di molti punti”. E quindi tra il 2004 e il 2009 le assunzioni dei laureati sono cresciute dall’8,4 per cento all’11,9 per cento. Mentre quelli con la sola licenza dell’obbligo sono diminuiti dal 41 al 30,4 per cento. Studiare, insomma, conviene anche se meno di un tempo, come racconta il rapporto di Almalaurea (il tasso di disoccupazione a un anno dalla laurea specialistica è salito tra il 2008 e il 2009 da 16,2 a 17,7). “Inoltre il rapporto Unioncamere non specifica se la difficoltà di reperimento si traduce poi in un congruo numero di assunzioni”, spiega Pasqualotto di Datagiovani.

Anche i numeri del Censis di Giuseppe De Rita sono una fragile base per le asserzioni del governo. Il ragionamento dell’istituto è questo: nei lavori più strettamente manuali la presenza di lavoratori under 35 è diminuita tra il 2005 e il 2010 dal 34,3 al 27,6 per cento. Negli stessi anni è però cresciuta la percentuale di lavoratori stranieri, dal 10 al 18,8 per cento. Ergo, conclude il Censis, gli stranieri hanno preso il posto dei giovani. Ma è solo una teoria, tutta da dimostrare. Che, per esempio, non tiene conto del fatto che i giovani sono i più facili da espellere dal mercato del lavoro perché quasi tutti precari (nel 2010 il 36 per cento dei nuovi assunti era giovane, mentre i contratti a tempo indeterminato sono diminuiti di un altro 15 per cento). E non considera neppure il fatto che, se gli stranieri aumentano (e hanno in prevalenza un basso tasso di istruzione) e i giovani italiani diminuiscono, una certa sostituzione è fisiologica.
Quello sul fascino del lavoro manuale resta comunque un dibattito tutto italiano. Basta scorrere il rapporto dell’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro (dell’Onu) di agosto 2010, dal titolo “Trend globali dell’occupazione per i giovani”. Non c’è alcun cenno alla necessità di spiegare che, in tempi di magra, qualunque lavoro va bene. Ma si insiste sulla necessità della formazione continua, basata su tre principi chiave: “1) Fare tutto il possibile per evitare l’abbandono scolastico 2) Promuovere la combinazione di studio e lavoro 3) Offrire a ogni giovane una seconda chance di formazione”, per recuperare chi ha lasciato gli studi troppo presto. Ma consigliare a chi è tentato dall’università di andare a bottega a imparare un mestiere, magari lavorando gratis e scomparendo dalle statistiche, è molto più semplice.

di Stefano Feltri

Wikistrike

Il Wikistrike è un’enciclopedia creata dalla nostra intelligenza collettiva per mettere a disposizione di tutte/i uno strumento contro la precarietà e al servizio dello sciopero precario. A Roma agli Stati Generali della Precarietà cerca il libretto con i lemmi sulla precarietà, sui modi per fronteggiarla, sulle sue cause e sulle sue possibili soluzioni. È un testo che gioca con il nome di Wikipedia perché assomiglia a una minienciclopedia ma soprattutto perché è basato sul metodo wiki. Il Wikistrike è stato creato collettivamente da chi vive nella precarietà e vuole fare agitazione nella precarietà. Ed è aperto: dopo gli Stati Generali vorremmo che l’intelligenza e i saperi dei precari continuassero ad aggiornare, pensare, aggiungere, rivoltare come un calzino le voci che lo compongono: Precarietà, Silvio Berlusconi, Welfare, Cash & Crash, Reddito, Ricatto e consenso, Cospirazione, Media sociali, Sciopero precario, Crisi, Subvertising, Migranti, San Precario.

Perché come dice il saggio: “Un mondo popolato da precari/e è il mondo che sognano le imprese; un mondo creato e pensato dai precari è il loro peggiore incubo.”

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9, 16, 17, 1, 6: i precari danno i numeri

Quello che sta per iniziare è un mese di assoluto rilievo per ciò che concerne la lotta alla precarietà. Andiamo in ordine.

Il 9 di aprile ci sarà l’iniziativa “Il nostro tempo è adesso”, indetta da una serie di associazioni e realtà precarie e spalleggiata con forza dalla Cgil che ha messo a disposizione i suoi mezzi e le sue strutture. Dal 15 al 17 a Roma si terranno gli Stati generali della precarietà, patrocinati da San Precario, l’icona pop dei precari e delle precarie. Gli Stati generali giungono alla terza edizione è sono l’espressione più verace delle lotte autorganizzate dei precari e delle precarie. È una grande fucina di idee che riunisce comitati, realtà in lotta, gruppi grandi e piccoli, e una miriade di precari e precarie che si muovono più o meno coordinati a partire dal lavoro, dal sociale o dalla rete.

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