MayDay 2011 _Assemblea 31 Marzo 011_

Per dieci anni la May Day ha portato centinaia di migliaia di persone in piazza.Gente stanca di subire in silenzio il ricatto della precarietà. Stufi di vedere le mummie sindacali che avevano legalizzato il lavoro interinale, sfilare la mattina in Porta Venezia. Le prime edizioni della Parade sono servite ad accendere la luce sul dramma fino allora taciuto dell’instabilità. Nonostante Istituzioni, Media, Partiti e Sindacati di ogni colore, tranne rare eccezioni, abbiano fatto di tutto per impedirlo, il termine precarietà è diventato di uso comune. Le ultime edizioni della May Day hanno dato voce alle vertenze sul terittorio, ai conflitti sul lavoro e, per noi, sono servite da volano per la costruzione di una rete di mutua assistenza fra precari, unendo singoli, collettivi e agenzie di conflitto in una rete che tuttora prolifera.

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Tutti parlano di precarietà: finalmente!

La precarietà è condizione trasversale. Siamo tutti precari. Il nostro tempo è adesso. La generazione precaria deve prendere parola. La precarietà riguarda non solo il lavoro ma anche la vita. Queste sono alcune delle frasi che vengono riportate da molti appelli che rimbalzano nella rete. La precarietà vive un momento di visibilità mediatica netta, limpida, come non è mai successo, mentre le percezioni delle generazioni precarie assumono forme e narrazioni simili, corali. In dieci anni di Mayday, in sette anni di agitazioni sotto il patrocinio di San Precario non c’era mai capitato di vedere un sentimento di rivalsa così diffuso. Finalmente!

 

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“Io non pagherò” impazza in Grecia

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Bloccano i caselli autostradali per consentire agli automobilisti di viaggiare gratis. Coprono con sacchetti di plastica le biglietterie automatiche della metropolitana impedendo ai pendolari di pagare. Anche alcuni medici si sono uniti a loro, impedendo ai pazienti di pagare i ticket presso gli ospedali statali.
Alcuni la chiamano disobbedienza civile. Altri mentalità ‘anarcoide.’ Comunque lo si voglia definire, il movimento ‘I Won’t Pay’ (Io Non Pagherò) ha scatenato un acceso dibattito
in una Grecia ferita dalla crisi del debito, per far fronte alla quale il governo è stato costretto ad adottare drastiche misure di austerity – tra maggiori imposte, tagli salariali e pensionistici e picchi al rialzo nei prezzi dei servizi pubblici.
Ciò che era iniziato sotto forma di protesta attuata da un minuscolo gruppo di cittadini pendolari imbestialiti per l’aumento dei pedaggi autostradali si è sviluppato in un vasto movimento che sta interessandosempre più settori della società – secondo molti manovrato dai partiti di sinistra, desiderosi di cavalcare
il malcontento popolare.
Una valanga di scandali politici scoppiati negli ultimi anni – tra cui una dubbia partita di scambio di terreni e le presunte tangenti negli appalti statali – ha alimentato questo vento di ribellione.
All’alba di venerdì scorso circa 100 attivisti appartenenti ad un gruppo sindacale comunista hanno coperto con sacchetti di plastica i distributori automatici delle stazioni della metropolitana di Atene, impedendo ai passeggeri di pagare le tariffe, per protestare contro gli aumenti nei trasporti pubblici.
Altri attivisti hanno danneggiato diversi distributori automatici di biglietti per autobus e tram. E migliaia di persone semplicemente non si preoccupano più di convalidare i loro biglietti in autobus e metropolitana.
“La gente ha già ampiamente pagato attraverso le tasse, quindi adesso dovrebbe avere il diritto di viaggiare gratuitamente” ha dichiarato Konstantinos Thimianos, 36 anni, impegnato nel picchettaggio della stazione della metropolitana di Piazza Syntagma.
In una delle recenti occupazioni dei caselli presso la periferia nord di Atene i manifestanti indossavano magliette colorate con la scritta “Total Disobedience”,e cantavano: “Non pagheremo la vostra crisi.”
Il movimento ha preso piede anche nel settore sanitario, con diversi medici ospedalieri impegnati a presidiare le macchinette dei ticket per impedire ai pazienti di pagare i 5 euro di
tariffa flat per le visite generiche.
I detrattori accusano i manifestanti di rappresentare l’ennesimo esempio della mentalità anarcoide che ha contribuito a far scivolare il paese nel caos finanziario.
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“Questa esplosione della illegalità è come un cancro che si sparge,” ha scritto Dionysis Gousetis in un recente articolo apparso sulle colonne del quotidiano Kathimerini.
“Grazie all’alibi della crisi gli scrocconi hanno smesso di nascondersi. Fanno orgogliosamente bella mostra di sé ed agiscono come eroi della disobbedienza civile. Una via di mezzo
tra Rosa Parks e il Mahatma Gandhi”, ha proseguito Gousetis. “Ma il non pagare in prima persona per loro non è abbastanza; devono anche costringere il prossimo a fare lo stesso.”
Molti accusano i partiti di sinistra ed i sindacati di cavalcare l’onda del movimento popolare per i propri fini politici.
“Pensate che l’illegalità sia qualcosa di rivoluzionario, in grado di aiutare il popolo greco” – ha detto di recente il primo ministro Papandreou criticando in Parlamento Alexis Tsipras, capogruppo della sinistra – “ma il popolo oggi sta pagando proprio la diffusa illegalità del nostro paese.”
Il movimento “I Won’t Pay” testimonia tuttavia un aspetto radicato nella società greca: la propensione a piegare le regole, a ribellarsi all’autorità, in particolare quella dello Stato. Si tratta di una mentalità così radicata che molti greci a malapena si rendono conto della miriade di piccole trasgressioni commess quotidianamente: la moto sul marciapiede, la vettura che passa con il rosso, la violazione della ennesimo tentativo da parte del governo di vietare il fumo nei bar e ristoranti.
Meno innocua è la diffusa e persistente tendenza alla evasione fiscale, nonostante le misure sempre più disperate attuate dal governo. “Si tratta di una generica cultura della illegalità, ad iniziare dalle cose più banali fino alla frode o alla evasione fiscale; una cosa che esiste fin dalla notte dei tempi”, ha affermato il commentatore Nikos Dimou.
Tuttavia molti vedono il movimento “I Won’t Pay” come qualcosa di molto più semplice: il rifiuto da parte del popolo di pagare per gli errori commessi da una serie di governi accusati di avere sperperato il futuro della nazione con la corruzione e il clientelismo.
“Non credo faccia parte del carattere greco. I greci quando constatano che llegge viene realmente rispettata in ogni ambito, sono portati ad applicarla”, ha
detto Nikos Louvros fumando una sigaretta in una piazza ateniese, e facendosi beffe del divieto di fumo.
“Ma quando da alcuni non viene rispettata, ad esempio quando si ha a che fare
con ministri che rubano … beh, se le leggi non vengono rispettate in alto, anche tutti gli altri finiscono per non rispettarle.”
5 marzo 2011, di E. Becatoros -Traduzione di Anticorpi –Articolo in lingua inglese, pubblicato sul sito MSNBC
Link diretto all’articolo:
http://www.msnbc.msn.com/id/41723432/ns/business-world_business/
Traduzione di Anticorpi.
Post correlati: Grecia: Prove Tecniche di NWO Post correlati: Engdahl sulla Crisi in Grecia, in Italia e
in Occidente
Fonte: http://www.anticorpi.info/2011/03/io-non-paghero-impazza-in-grecia.html
http://mercatoliberotestimonianze.blogspot.com/2011/03/io-non-paghero-impazza-in-grecia.html

Sciopero precario contro il Cavaliere

È fuori di dubbio che Berlusconi sia una persona umanamente spregevole.
Però il disprezzo che proviamo per lui rischia di non farci capire perché questo individuo stia governando da quasi vent’anni. Di più, questo disprezzo rischia di nasconderci le ragioni profonde della “decadenza” italiana. Berlusconi è un progetto politico, messo in campo nel 1993 da un insieme di poteri economici e non solo, con lo scopo di governare il prevedibile declino economico che l’Italia avrebbe subito con l’avanzare della globalizzazione e la fine della supremazia dell’economia statunitense.
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Prorogati i termini d’impugnazione del collegato lavoro!


Con l’approvazione del decreto Mille Proroghe, che consente l’attuazione delle disposizioni della Finanziaria 2011 viene spostato dal 24 gennaio 2011
al 31 dicembre 2011 il termine per proporre l’impugnativa del licenziamento da parte dei lavoratori il cui contratto precario è cessato prima dell’entrata in vigore del collegato lavoro.
Il limite del 23 gennaio era contenuto nel cosiddetto Collegato Lavoro, ulteriore provvedimento governativo teso a limitare la possibilità di azione giuridica da parte dei lavoratori e a favorire così un’ulteriore precarizzazione del lavoro.