Si scrive sciopero generale, ma si pronuncia sciopero precario

Da più parti e sempre con più insistenza si invoca la presa di una piazza che possa catalizzare la rabbia e lo sdegno per dare inizio ad una sollevazione che ci liberi da Berlusconi. Ma più che una piazza noi crediamo che il momento decisivo sia uno sciopero che parli di precarietà, agisca nella precarietà e coinvolga precari e precarie.

Quindi per quanto stanchi di subire l’offensiva di questo governo che si traduce giorno dopo giorno nel peggioramento delle condizioni di vita di lavoratori, precarie e migranti, per quanto le immagini che provengono dal Magreb ci trasmettano vibrazioni positive, sentiamo il dovere di fare alcune precisazioni. L’occupazione di una piazza nelle principali città d’Italia come atto unico non sarebbe di per sé risolutiva, anzi rischierebbe di concentrare il malumore senza riuscire a tracimare in quei segmenti di popolazione che ancora confusi, nonché colpiti dalla crisi, leggerebbero in questo gesto una forzatura estremistica. Il rischio è quello di evocare le pur sacrosante ribellioni nord africane ma fuori contesto, perché la struttura di potere in Italia non si basa su una autocrazia come quella libica ma su un diffuso sistema di potere di cui Berlusconi è solo il portavoce. Non ci interessa solo cacciare Berlusconi magari con l’azione giudiziaria o sulla base di indubbie ragioni “morali”. Vogliamo di più: mettere in crisi il sistema di potere dei Marchionne e Marcegaglia che Berlusconi rappresenta. Riteniamo che questa piazza debba accompagnare, essere esito di un altro momento che consideriamo ben più rilevante: lo sciopero generale. In questi giorni la Cgil, spinta e anche un po’ costretta dagli eventi, ha indetto lo sciopero generale. Nell’attesa che vengano definite la data e le modalità, temiamo comunque che questo importante passaggio possa essere depotenziato, annacquato, appiattendolo su posizioni politiche molto vaghe o su rivendicazioni sociali particolari.

Noi invece pensiamo che in questo momento uno sciopero generale giocato tutto in attacco contro la precarietà parlerebbe trasversalmente alla popolazione italiana e migrante. Se c’è una verità che la crisi ci ha fatto comprendere è che ci ha resi tutti e tutte (per tutti intendiamo la maggioranza della popolazione) più poveri e precari. Inoltre sappiamo che lo sciopero generale per essere veramente tale deve saper coinvolgere anche chi non ne ha diritto: per farlo non serve un’investitura celeste ma un segnale forte. Bisogna costruire un richiamo deciso, un tam tam efficace che sappia attraversare le praterie sociali e precarie per chiamare a raccolta, e mettere in gioco, corpi, desideri e rabbia di tutti coloro che sono precarizzati: atipici, disoccupati, poco garantiti, indecisi, confusi e anche gli impauriti. Ne abbiamo parlato in due edizioni degli Stati generali della precarietà e ci siamo riuniti il 22 febbraio a Milano, mettendo in moto una rete di innovazione politica e comunicazione. Infine lo sciopero deve parlare a tutti, unire coloro che sono divisi. Non solo la firma di questo o quel contratto, ma è necessario rivendicare reddito incondizionato e diritti nel lavoro o senza il lavoro. Quindi ben venga questo sciopero generale che avremo il compito di trasformare in uno sciopero veramente partecipato, rivolto contro la precarietà, rivendicante nuovi diritti: per noi si scrive sciopero generale ma si pronuncia sciopero precario.

In questo senso la piazza evocata può assumere una connotazione ben più trasversale e radicale, se è figlia di questa mobilitazione verso lo sciopero precario generale: può dare un segnale di continuità ed unità, perché sappiamo bene che un solo giorno, anche di sciopero generale, non è sufficiente . Su questo siamo disposti ad incontrarci e a discuterne con tutti a partire dall’incontro degli autoconvocati che si svolgerà a Roma, sabato 26 febbraio.

Lettera al Manifesto pubblicata il 26 febbraio 2011

Assemblea nazionale autoconvocati

Per lo Sciopero generale e generalizzato

contro Governo e Confindustria incontriamoci a Roma il 26 febbraio

Dopo la resistenza sui tetti e nelle mille vertenze sparse contro chiusure aziendali, ristrutturazioni e licenziamenti, la giornata del 28 gennaio ha visto scendere in piazza in decine di manifestazioni in tutta Italia, migliaia e migliaia di lavoratrici e lavoratori metalmeccanici, affiancati da tantissimi giovani e da altrettanti lavoratori di tutti gli altri settori, facilitati nella loro mobilitazione dalla felice decisione di alcuni sindacati di base di generalizzare a tutte le categorie con un proprio sciopero l’iniziativa della Fiom.

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Sciopero generale politico: in piazza finché Berlusconi non se ne va.

di Giorgio Cremaschi

Dobbiamo scendere in piazza come in Tunisia e in Egitto e non venir più via sino a che Berlusconi non si è dimesso.
Dopo il rinvio a giudizio per reati così gravi e infamanti, il Presidente del Consiglio non può restare in carica un minuto di più. Ne va della dignità democratica dell’Italia. Non è una questione di maggioranze o minoranze, di
politica economica o istituzionale, è una questione costituzionale.  Non possiamo accettare che il posto di Presidenza del consiglio sia così indegnamente occupato. Per questo bisogna che la Cgil, richiamando i momenti più importanti della sua storia, proclami uno sciopero generale politico che, tra l’altro, abbia come obiettivo le dimissioni di Berlusconi.
E’ una decisione simile a quella che portò, nel 1960 la Cgil a scioperare e far cadere il governo Tambroni.
Oggi la democrazia si difende con la mobilitazione democratica e bisogna mobilitarsi fino a che Berlusconi non se ne va.

Sciopero precario contro il Cavaliere

È fuori di dubbio che Berlusconi sia una persona umanamente spregevole.
Però il disprezzo che proviamo per lui rischia di non farci capire perché questo individuo stia governando da quasi vent’anni. Di più, questo disprezzo rischia di nasconderci le ragioni profonde della “decadenza” italiana. Berlusconi è un progetto politico, messo in campo nel 1993 da un insieme di poteri economici e non solo, con lo scopo di governare il prevedibile declino economico che l’Italia avrebbe subito con l’avanzare della globalizzazione e la fine della supremazia dell’economia statunitense.
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Perchè in Italia non si fa lo sciopero generale?

L’interessante e stimolante Haaretz, organo della intellighentia israeliana davvero liberal ed assai più onesto di giornali di sinistra europei come l’Unità, si domanda oggi perchè, nonostante il peggioramento delle condizioni di vita e la sempre minore tutela di diritti civili e sociali, la popolazione israeliana non scende in piazza, non combatte per difendere le sue conquiste, non si contrappone ad un governo che spende tutte le sue risorse al mantenimento di un potere militare sempre più pesante, sempre più esigente. Alla domanda si risponde lo stesso autore dell’articolo, Michele Merav, con queste parole: “Le organizzazioni sociali per il cambiamento hanno un built-in limitation, agiscono dall’esterno, e non possono apportare modifiche. Nella loro esistenza essi funzionano come valvole per sfogarsi e, soprattutto, essi ricevono finanziamenti anche dal governo e individui ricchi – i cui scopi e le attività sono in contraddizione con gli obiettivi politici e sociali delle organizzazioni. Quindi, indirettamente, le organizzazioni sono in realtà parte del sistema che rafforza i ricchi e potenti.”
Con queste parole ha descritto senza volerlo anche la nostra realtà nella quale le organizzazioni confederali dei lavoratori fortissime di oltre dieci milioni di associati che conferiscono ad esse anche una solidissima stabilità economica non alzano un dito a difendere le urgenze dei propri rappresentati. Nei mesi scorsi, moltissimi lavoratori europei sono scesi in piazza in Francia, in Portogallo, in Grecia, in Gran Bretagna, in Spagna con imponenti scioperi generali, a volte ripetuti, rivolti a frenare il progetto dei loro governi di far pagare soltanto al lavoro dipendente ed al welfare i costi della “crisi” indotta dalla truffa finanziaria di wallstreet e dalle strabordanti spese militari USA di fatto addossate a tutto il pianeta. Si sono realizzati molti scioperi generali. In Francia uno di questi scioperi è stato dedicato alla riforma Sarcozy delle pensioni. In Italia, nonostante ripetute sollecitazioni legate al tanto malessere diffuso tra i lavoratori, non si è mai fatto un solo sciopero generale. Tremonti si è vantato in UE di avere fatto una riforma fondamentale delle pensioni che ne ha innalzato la soglia a settanta anni senza una sola ora di sciopero dei pensionati e dei lavoratori italiani. Ora, tutto il Magreeb, molta parte del mondo arabo dal Marocco allo Yemen è in lotta contro tirannidi che hanno fatto i bagordi a spese di bassissimi salari, disoccupazione, fame dei loro popoli. In Egitto, in Tunisia ed altrove la lotta contro i regimi è stata alimentata in grandissima parte da un proletariato poverissimo che pretende salari migliori.
Insomma, nonostante l’Italia sia circondata da un cerchio di fuoco di lotte e di rivendicazioni, non si muove ed anzi lascia languire fino alla estinzione la lotta organizzata da categorie come gli studenti ed i professori o da sindacati liberi come i cobas.
Eppure in Italia la situazione economica e sociale è gravissima e volge a vera e propria crisi per l’aggravarsi del debito pubblico e la netta diminuzione del potere di acquisto delle masse. Si stanno licenziando oltre centomila professori e, con il mancato turn over, la pubblica amministrazione perderà cinquecentomila posti di lavoro (tanti quanti ne ha tagliato Cameron in Inghilterra). Il contratto di lavoro è stato aggredito dalla Fiat e dalla Confindustria e tende ad essere escluso in zone sempre più ampie del Paese, la legge Biagi
ha tagliato le ali a milioni di ragazze e ragazzi ridotti al supplizio di un precariato inventato appunto per schiavizzarli, la scuola, l’università e la sanità sono state ristrutturate per fornire servizi dequalificati che costringono a ticket ed esborsi sempre più pesanti, c’è in corso una terziarizzazione ed una finanziarizzazione senza sviluppo del sistema economico con la scomparsa, dopo l’industria pesante di base, della grande industria manifatturiera ed i tre bronzei mandarini del sindacalismo confederale, Bonanni, Angeletti e Camusso, assistono imperterriti, lasciano fare. Si può dire che non solo non hanno fatto una reale opposizione alle scelte più dure del governo (collegato lavoro) e del padronato italiano (Pomigliano e Mirafiori), ma ne sono stati complici attivi o soltanto passivi.. La richiesta dello sciopero generale chiesta dalla Fiom fin dal 16 ottobre scorso a Epifani e richiesta alla signora Camusso dal poderoso sciopero sempre della fiom del 28 gennaio non è stata accolta dalla CGIL e dal momento che anche il tempo è un fattore politico di primario valore indire uno sciopero generale oggi o tra un mese non avrà più il valore e la capacità di influire sugli eventi che avrebbe avuto sei mesi fa. In Sicilia si dice: “minestra quadiata”. Una cosa fuori tempo massimo invecchiata e resa inutile dal suo anacronismo che potrebbe essere riscattata, e non lo sarà, da richieste precise che non saranno avanzate sul precariato, le pensioni, i salari, i contratti. Dal che è lecito il sospetto che ci sia una sorta di patto segreto, parasociale, nel patto sociale stipulato dai tre sindacati e le associazioni padronali. Patto sostenuto non solo da Sacconi e dal Governo ma anche dal PD che vorrebbe realizzare la stessa politica liberista del centro-destra succedendo al governo del postribolare Berlusconi oramai bruciato a livello internazionale e destinato a cedere il posto a Bersani o chi per lui.
Insomma, l’Italia non si muove perchè le maggiori organizzazioni sociali che dovrebbero organizzare la protesta sono legate ad interessi con il padronato ed il governo che li portano ad esprimere interessi che sono addirittura confliggenti con quelli dei loro “rappresentati”. Il legame aureo si chiama sussidiarietà e si concretizza negli enti bilaterali e nella legislazione paragovernativistica. Le organizzazioni di base che si mobilitano riescono a realizzare manifestazioni imponenti ed assai sentite che tuttavia vengono deliberatamente ignorate dai massmedia, dal Parlamento e dai Partiti che le considerano poco meno che espressioni di un sovversivismo sociale da controllare e considerare meri problemi di ordine pubblico.
La situazione dell’Italia degrada. Stiamo diventando la Tunisia d’Europa. Un Paese per turisti e come diceva sprezzantemente un vecchio operaista che ho tanto stimato “un paese di camerieri”. Marchionne si permette di sfottere il Parlamento raccontandogli la favoletta di una Fiat che ha il “cuore” in Italia anche se porta “il cervello” a Detroit o New York. Oggi sentivo un senatore in TV che gli dava ragione, sostenendo che la logica multinazionale non può essere evitata e la Fiat deve fare la sua strada. Il Parlamento ha ascoltato facendo finta di credervi le barzellette di una utilizzazione al quaranta per cento degli impianti che potrebbe essere raddoppiata all’ottanta per cento se gli operai decidono di farsi mettere la cavezza, di non scalciare, di stare dieci ore a digiuno compiendo in tutte le ore sempre lo stesso numero di movimenti programmati dal sadico inventore del WCM.
I politici italiani hanno fatto finta di credere alle mirabolanti e sarcastiche proposte di Marchionne. Anche le tre Confederazioni. Naturalmente, non ci sarà alcuna reazione tranne quella inevitabili dei lavoratori che di volta in volta sono vittime designate dei progetti aziendali.
In Italia cova un terribile malessere, una collera sociale che può diventare spaventosa. Nanni Moretti dice che questo non è paese da insurrezioni. Ma la manifestazione delle donne ” se non ora quando” ha messo in luce una corda quasi lesionata, quasi rotta. La gente reagisce al precariato, alle privatizzazioni, ai bassissimi salari, alla prospettiva di non avere mai una pensione…. Cgil, Cisl, Uil, il PD, il Parlamento, il Governo fanno da tappo
ed impediscono l’organizzazione di una dura protesta. Ma la molla non può essere tenuta compressa troppo a lungo e prima o poi scapperà di mano ai giudiziosi collaborazionisti
con la pancia piena che il Regime riempie di medaglie ma che non incantano più nessuno perchè non hanno più il monopolio della comunicazione.
Pietro Ancona