Miracolo di San Precario: la Camusso diventa muta

San Precario denuncia i precarizzatori di Librerie Rinascita e la segretaria Cgil tace.
22 marzo 2011: accompagnsati dal chiarissimo slogan “Sciopericchio del 6 maggio, si può fare di più. Voglia di sciopero precario” i Punti San Precario sono entrati nella Libreria Rinascita di via Savoia 30 a Roma, durante la presentazione del libro “La lana della salamandra”. Fra i relatori, la segretaria generale della Cgil cui precarie e precari hanno chiesto di prendere parola sulle condizioni lavorative nelle Librerie Rinascita, già denunciate pubblicamente: impieghi al nero, non pagati da mesi, licenziamenti senza preavviso come in via Ostiense.

 

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San Precario incontra Toni Negri

VOGLIA DI SCIOPERO PRECARIO

IN PREPARAZIONE DEGLI STATI GENERALI DELLA PRECARIETA’, ROMA, 16-17 APRILE 2011

GIOVEDI’, 24 MARZO 2011, h. 21.00, TEATRO I

Quando della precarietà se ne parlava sottovoce, negli angoli bui delle camere del lavoro o delle sedi sinda-cali, noi sparavamo 10.000 watt d’impianto per le strade di Milano.

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“Io non pagherò” impazza in Grecia

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Bloccano i caselli autostradali per consentire agli automobilisti di viaggiare gratis. Coprono con sacchetti di plastica le biglietterie automatiche della metropolitana impedendo ai pendolari di pagare. Anche alcuni medici si sono uniti a loro, impedendo ai pazienti di pagare i ticket presso gli ospedali statali.
Alcuni la chiamano disobbedienza civile. Altri mentalità ‘anarcoide.’ Comunque lo si voglia definire, il movimento ‘I Won’t Pay’ (Io Non Pagherò) ha scatenato un acceso dibattito
in una Grecia ferita dalla crisi del debito, per far fronte alla quale il governo è stato costretto ad adottare drastiche misure di austerity – tra maggiori imposte, tagli salariali e pensionistici e picchi al rialzo nei prezzi dei servizi pubblici.
Ciò che era iniziato sotto forma di protesta attuata da un minuscolo gruppo di cittadini pendolari imbestialiti per l’aumento dei pedaggi autostradali si è sviluppato in un vasto movimento che sta interessandosempre più settori della società – secondo molti manovrato dai partiti di sinistra, desiderosi di cavalcare
il malcontento popolare.
Una valanga di scandali politici scoppiati negli ultimi anni – tra cui una dubbia partita di scambio di terreni e le presunte tangenti negli appalti statali – ha alimentato questo vento di ribellione.
All’alba di venerdì scorso circa 100 attivisti appartenenti ad un gruppo sindacale comunista hanno coperto con sacchetti di plastica i distributori automatici delle stazioni della metropolitana di Atene, impedendo ai passeggeri di pagare le tariffe, per protestare contro gli aumenti nei trasporti pubblici.
Altri attivisti hanno danneggiato diversi distributori automatici di biglietti per autobus e tram. E migliaia di persone semplicemente non si preoccupano più di convalidare i loro biglietti in autobus e metropolitana.
“La gente ha già ampiamente pagato attraverso le tasse, quindi adesso dovrebbe avere il diritto di viaggiare gratuitamente” ha dichiarato Konstantinos Thimianos, 36 anni, impegnato nel picchettaggio della stazione della metropolitana di Piazza Syntagma.
In una delle recenti occupazioni dei caselli presso la periferia nord di Atene i manifestanti indossavano magliette colorate con la scritta “Total Disobedience”,e cantavano: “Non pagheremo la vostra crisi.”
Il movimento ha preso piede anche nel settore sanitario, con diversi medici ospedalieri impegnati a presidiare le macchinette dei ticket per impedire ai pazienti di pagare i 5 euro di
tariffa flat per le visite generiche.
I detrattori accusano i manifestanti di rappresentare l’ennesimo esempio della mentalità anarcoide che ha contribuito a far scivolare il paese nel caos finanziario.
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“Questa esplosione della illegalità è come un cancro che si sparge,” ha scritto Dionysis Gousetis in un recente articolo apparso sulle colonne del quotidiano Kathimerini.
“Grazie all’alibi della crisi gli scrocconi hanno smesso di nascondersi. Fanno orgogliosamente bella mostra di sé ed agiscono come eroi della disobbedienza civile. Una via di mezzo
tra Rosa Parks e il Mahatma Gandhi”, ha proseguito Gousetis. “Ma il non pagare in prima persona per loro non è abbastanza; devono anche costringere il prossimo a fare lo stesso.”
Molti accusano i partiti di sinistra ed i sindacati di cavalcare l’onda del movimento popolare per i propri fini politici.
“Pensate che l’illegalità sia qualcosa di rivoluzionario, in grado di aiutare il popolo greco” – ha detto di recente il primo ministro Papandreou criticando in Parlamento Alexis Tsipras, capogruppo della sinistra – “ma il popolo oggi sta pagando proprio la diffusa illegalità del nostro paese.”
Il movimento “I Won’t Pay” testimonia tuttavia un aspetto radicato nella società greca: la propensione a piegare le regole, a ribellarsi all’autorità, in particolare quella dello Stato. Si tratta di una mentalità così radicata che molti greci a malapena si rendono conto della miriade di piccole trasgressioni commess quotidianamente: la moto sul marciapiede, la vettura che passa con il rosso, la violazione della ennesimo tentativo da parte del governo di vietare il fumo nei bar e ristoranti.
Meno innocua è la diffusa e persistente tendenza alla evasione fiscale, nonostante le misure sempre più disperate attuate dal governo. “Si tratta di una generica cultura della illegalità, ad iniziare dalle cose più banali fino alla frode o alla evasione fiscale; una cosa che esiste fin dalla notte dei tempi”, ha affermato il commentatore Nikos Dimou.
Tuttavia molti vedono il movimento “I Won’t Pay” come qualcosa di molto più semplice: il rifiuto da parte del popolo di pagare per gli errori commessi da una serie di governi accusati di avere sperperato il futuro della nazione con la corruzione e il clientelismo.
“Non credo faccia parte del carattere greco. I greci quando constatano che llegge viene realmente rispettata in ogni ambito, sono portati ad applicarla”, ha
detto Nikos Louvros fumando una sigaretta in una piazza ateniese, e facendosi beffe del divieto di fumo.
“Ma quando da alcuni non viene rispettata, ad esempio quando si ha a che fare
con ministri che rubano … beh, se le leggi non vengono rispettate in alto, anche tutti gli altri finiscono per non rispettarle.”
5 marzo 2011, di E. Becatoros -Traduzione di Anticorpi –Articolo in lingua inglese, pubblicato sul sito MSNBC
Link diretto all’articolo:
http://www.msnbc.msn.com/id/41723432/ns/business-world_business/
Traduzione di Anticorpi.
Post correlati: Grecia: Prove Tecniche di NWO Post correlati: Engdahl sulla Crisi in Grecia, in Italia e
in Occidente
Fonte: http://www.anticorpi.info/2011/03/io-non-paghero-impazza-in-grecia.html
http://mercatoliberotestimonianze.blogspot.com/2011/03/io-non-paghero-impazza-in-grecia.html

Lo “sciopericchio” del 6 maggio: si può fare di più!

Dopo un travaglio lungo e doloroso, la segreteria generale della Cgil ha partorito la data e le modalità dell´annunciato sciopero generale. Si svolgerà il 6 maggio (tra due mesi!), durerà solo 4 ore e prevede manifestazioni territoriali invece che un unico corteo a Roma. È chiaro che questo “sciopericchio” (come direbbe Leonardo Sciascia) è un compromesso tra le componenti interne della Cgil, ma non solo.

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Né generale, né generalizzato. Un modesto sciopero politico

Una riflessione del Coordinamento migranti di Bologna come contributo al dibattito sullo sciopero precario

www.lavoromigrante.splinder.com

Da mesi evocata, richiesta, immaginata, alla fine è arrivata la data dello sciopero generale della CGIL. Non si sa se sarà davvero l’occasione in cui il sociale mostrerà tutta la sua forza di pressione politica. Oppure se le quattro ore di astensione dal lavoro per i diritti e contro la politica del governo saranno un contenitore nel quale ognuno potrà immaginare il proprio avversario per poi dire di averlo colpito duramente. Si vedrà. Noi ci limitiamo a osservare che lo sciopero forse non è più pensabile solo come un’astensione dal lavoro con relativa manifestazione e comizio finale; forse è necessario fare un passo avanti.

Intanto, tra mille difficoltà, e con una partecipazione decisamente inferiore rispetto all’anno precedente, lo scorso primo marzo ha avuto luogo la seconda giornata senza immigrati “24h senza di noi”. Si potrebbe facilmente ironizzare dicendo che la giornata è effettivamente riuscita, perché pochi immigrati vi hanno partecipato e molti forse ne ignoravano persino l’esistenza. In questo clima di difficile visibilità per i migranti c’è chi ha scelto di tornare a pratiche eclatanti e simboliche che nell’assalto al Cie, mentre urlano la giusta rabbia dentro a una situazione intollerabile, rischiano però di rappresentare in forma rovesciata il modello emergenziale con il quale sono costantemente affrontati i movimenti dei migranti. Come non pensiamo che la precarietà sia un dato contingente della presente organizzazione del lavoro, al quale si possa rispondere con qualche aggiustamento giuridico o contrattuale, così non pensiamo che i movimenti dei migranti siano un fatto eccezionale da governare o da sostenere in modo episodico ed esemplare.

Poiché pensiamo che la presenza dei migranti sia un dato strutturale e insopprimibile all’interno delle nostre società, noi abbiamo scelto un’altra strada. Con rabbia non minore abbiamo scelto di organizzare come l’anno scorso lo sciopero con e dei migranti. L’abbiamo fatto attraversando dove possibile gli attivi dei delegati della Fiom, parlando con gli operai migranti e italiani nelle fabbriche e nelle cooperative, incontrando e mettendo in comunicazione il lavoro precario e migrante. Lo sciopero che ne è uscito ha visto a Bologna una partecipazione più ampia di quella dello scorso anno sia per le fabbriche coinvolte sia per il numero di lavoratori che vi hanno partecipato. Un modesto sciopero politico che non ha difeso né richiesto un contratto, ma ha opposto italiani e migranti insieme a una condizione particolare che finisce per coinvolgere tutti. Uno sciopero che ha individuato il suo avversario tanto nelle imprese, che sull’economia della legge Bossi-Fini costruiscono i loro profitti, quanto nelle norme legislative e amministrative che consentono questo specifico regime di accumulazione di profitti.

Noi sosteniamo che i migranti nella loro singolarità mostrano quotidianamente i caratteri universali della condizione precaria: sia per la regolare irregolarità delle loro condizioni lavorative, sia per il dissolvimento dei contenuti materiali della cittadinanza che vivono sulla loro pelle. Ciò significa che ogni riflessione sul nuovo welfare dovrebbe non solo evitare il collegamento al salario come criterio della cittadinanza, ma anche porsi il problema di quali gerarchie sociali implicite potrebbe stabilire l’accesso alle prestazioni sociali. Il welfare forse non può essere solo il risarcimento per il salario mancante, ma anche porsi la questione di quale relazione ogni welfare stabilisce tra le figure lavorative, visto che, per esempio, sul terreno attuale del welfare, già ampiamente monetarizzato, la divisione sessuale del lavoro rinnova e rafforza lo sfruttamento e l’isolamento delle donne migranti. Per queste e altre ragioni di fronte a chi, ogni volta che si parla sciopero del lavoro migrante, dice che si tratta di uno sciopero etnico, c’è ormai solo il fastidio. Lo sciopero del lavoro migrante non è stato, né può essere, solamente lo sciopero dei migranti, ma ha attraversato e coinvolto moltissimi lavoratori, precari e non. Allo stesso tempo non può essere solo uno sciopero nazionale, perché il lavoro migrante mette a nudo la dimensione transnazionale dello sfruttamento del lavoro precarizzato. Forse non è allora un caso che quest’anno, anche a Vienna ci sia stata un’esperienza di sciopero del lavoro migrante, così non dovrebbe stupire che a Bologna si sia registrata la presenza massiccia di studenti e di donne che hanno agito in autonomia, ma anche in continuità con lo sciopero stesso.

L’opposizione alla condizione migrante mette infatti in gioco tanto la possibilità di accedere alla formazione quanto la lotta contro il patriarcato. La lotta contro una condizione composta di particolarità non sopporta una facile sintesi generale. Gli studenti figli di migranti non tollerano più l’etichetta di seconda generazione, seguendo la saggia idea di non voler essere secondi a nessuno. Non vogliono accomodarsi insieme ai loro compagni degli istituti tecnici e professionali nella sala d’attesa della cittadinanza nella paziente attesa di un lavoro precario e sottopagato. Le donne italiane e migranti sanno perfettamente che il patriarcato non è un residuo del passato e tanto meno il portato esotico che proviene da terre lontane, ma una modalità concreta e attuale di organizzare i rapporti tra gli uomini e le donne e, non da ultimo, il lavoro riproduttivo, salariato o meno. Una condizione che necessariamente si oppone ai modelli di trasmissione del sapere e alle logiche più intime di divisione del lavoro produttivo e riproduttivo non può che essere una condizione universale. Uno sciopero contro questa condizione non può che essere uno sciopero politico, che non ricompone tutti i protagonisti in un’unica figura, ma li fa comunicare e agire insieme contro avversari riconosciuti come comuni.

Quest’anno abbiamo propagato la parola d’ordine dello sciopero con lo slogan: L’abbiamo fatto e lo rifaremo… Anche dentro il dibattito e la pratica dello sciopero precario porteremo l’esperienza di quello che abbiamo fatto, senza la pretesa di indicare un altro modello generalizzabile, ma segnalando un metodo che può contribuire a fare dello sciopero precario qualcosa se non nuovo almeno politicamente originale.

Coordinamento Migranti Bologna e Provincia