La coerenza del sindacato (nel favorire la diffusione della precarietà)

Sappiamo perfettamente  come certe idee, certe convinzioni, col passare del tempo, possano mutare;  cambia la realtà che ci circonda e perchè non dovremmo cambiare il nostro modo di agire e pensare in essa? La saggezza popolare ha immortalato questa semplice ma importante conclusione con il motto ” errare è umano, perseverare è diabolico”.  Sappiamo anche che in una grande organizzazione come ad esempio la Cgil vi sono infinite differenze comportamentali e attitudinali: in alcuni territori o settori il sindacato è più combattivo, la base militante è ben diversa dai quadri burocratici e così via. Lo sappiamo bene noi che, pochi o tanti che siamo, abbiamo al nostro interno mille traiettorie sindacali diverse, molte delle quali fanno capo alla Cgil.

Quindi la questione non è essere contro la Cgil a priori. Se domani il più grande sindacato italiano dovesse dire “ok, ci siamo sbagliati, d’ora in poi si cambia registro, uniamoci nella lotta contro la precarietà” noi ne saremmo solo felici. Non è una questione di pelle, bensì è una questione  di dignità. Non possiamo farci prendere per il culo sempre. Non sono sufficienti una campagna di marketing virale sulla precarietà, due dichiarazioni alla stampa, tre vertenze giocate all’attacco, per convincerci che l’andazzo è cambiato, anzi.  Prendiamo la Fiom (sempre Cgil): siamo convinti che le aperture sulle questioni del reddito, dei beni comuni, verso un impianto di diritti nuovo capace di tutelare chi non lo è mai stato, siano aperture vere.

Abbiamo dei dubbi su un’impostazione che ha una centralità troppo sbilanciata su un lessico operaio, mentre noi pensiamo che il cambiamento si potrà avere solo attraverso l’adozione di “un punto di vista precario” con tutto quello che ciò implica. Su questo punto però ritorneremo, ora è poco rilevante. Ci basta dire, per concludere, che il percorso lanciato dalla Fiom ha un ragionamento alle spalle e la dignità per essere attraversato, e ad  esso guardiamo con interesse, seppur nelle differenze. La rete dei precari “non più disposti a tutto”, la manifestazione del 27, le roboanti dichiarazioni sul tema della produttività, sul piano industriale, sulla competitività, invece non ci interessano. Anzi aggiungiamo anche, il sucecsso del 27 verrebbe giocato dalla Cgil contro la Fiom, e contro lo sciopero generale, sempre più lontano. Siamo sicuri di voler avallare tutto ciò?

La coerenza di un sindacato: è una storia lunga, leggendaria, ma non è una favola a lieto fine

Tutto cominciò con il Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, che, durante il discorso alla Fiera del Levante di Bari, nel 1996 pronunciò la storica frase “Scordatevi il posto fisso!”.
La dichiarazione d’intenti trova un immediata applicazione nella Legge n.196 del 27 luglio 1997, nota ai più come Legge Treu, che istituiva inItalia il lavoro interinale. Tale legge ha avuto l’avvallo dei sindacati e dei partiti della sinistra. Il voto favorevole era stato giustificato da due ragioni. Le forme di flessibilità  avrebbero interessato “le qualifiche di elevato contenuto professionale” (art. 4). Il sindacato avrebbe vigilato tramite i contratti collettivi e garantito contro gli abusi. Come mai allora il lavoro interinale, grazie alla firma di Cgil, Cisl e Uil nei contratti collettivi di cui sopra, è stato introdotto nel settore artigianale (1999), nel settore dell’edilizia (1999), nel settore metalmeccanico e nel settore pubblico (agosto 2000)? Dove sta in questi settori l’elevato contenuto professionale?

Ma veniamo a tempi più recenti. Nel maggio 2004, vi è il rinnovo contratto tessili-abbigliamento. Vengono introdotte norme sul tempo determinato,  il job sharing e l’apprendistato che recepiscono interamente il decreto 368/01 che consente ai padroni di introdurre tali contratti atipici per un certo ammontare, non sempre verificabile. La stessa Cgil si era pronunciata contro tale decreto. Perché allora firma il contratto? L’abitudine di dichiararsi contro una legge ma poi firmare i contratti che ne consentono l’applicazione (soprattutto se si tratta di aumentare la precarietà) raggiungerà il parossismo dopo il varo della Legge (30), impropriamente nota come Legge Biagi.

Negli anni recenti, occorre ricordare  il caso dell’accordo su Atesia, una firma che ancora oggi è una ferita aperta. Si tratta di una storia emblematica. In Atesia operavano più di 2000 precari, situazione simbolo della precarietà. In seguito all’intervento del Ministro Damiano e della Cgil, sulla base della distinzione tra inbound e outbound, alcuni figure precarie vengono sottoposte a stabilizzazione del posto del lavoro. Una stabilizzazione che tuttavia richiede alcuni sacrifici in termini di orario, salario e perdita di contributi previdenziali. Di fronte al classico ricatto: o accetti queste condizioni peggiorative (rispetto  ciò che ti spetterebbe) oppure rischi il posto di lavoro, la maggior parte dei precari ha accettato.

Oggi si trova a guadagnare poco più di 800 euro al mese in condizioni lavorative pessime e senza che gli anni con contratto precario siano stati riconosciuti come contribuzione previdenziali. Quei pochi che non hanno accettato obtorto collo la firma voluta dalla Cgil e hanno fatto causa, oggi, dopo le sentenze favorevoli della pretura del lavoro di Roma nel giugno del 2010, si trovano a poter scegliere se essere ammessi al tempo indeterminato con condizioni contrattuali migliori (se vogliono) o avere un risarcimento che varia tra gli 80.000 e 100.000 euro. Un bel risultato, si direbbe.

Il  caso Atesia non è isolato, ma paradigmatico e fa scuola  (vedi ad esempio Telecom). Numerosi sono gli esempi di come la Cgil pur di arrivare ad una firma più o meno concertativa spinge i propri aderenti a firmare contratti capestro. Ultimissimo caso è quello a noi vicino di Rho Fiera. In una giungla di subfornitura e subappalti con condizioni lavorative più o meno di tipo feudale (senza neanche avere la certezza di essere pagato, come hanno amaramente constatato i dipendenti della Best Union),  la società Milano Fiera decide di sbarazzarsi di circa 85 dipendenti su 300. Immediatamente la Cgil inizia una trattativa che porta al non rinnovo di contratti per alcune figure precarie e alla Cassa Integrazione per gli 85 dipendenti considerati in esubero, senza neanche la certezza ella riassunzione. Tutto ciò avviene ponendo i lavoratori di fronte all’aut/aut di dire sì o di rischiare la perdita del lavoro. A neanche pochi mesi dalla firma dell’accordo, gli esuberi si sono già moltiplicati…… Chissà come mai.  Sul caso Fiera sta oggi intervenendo San Precario.

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3 comments to La coerenza del sindacato (nel favorire la diffusione della precarietà)

  • […] di cotanto orrore legislativo (cari precari e care precarie, mai più disposti a tutto, la coerenza del sindacato). Il collegato lavoro è una porcata, ma una porcata che non muta qualitativamente il quadro […]

  • matilde

    Ebbene si, facciamola questa ammissione: abbiamo sbagliato tutta l’impostazione. Facciamo un’altra cosa: diamo ai datori di lavoro la libertà assoluta di mandarci a casa dall’oggi al domani. E poi tutti a farci prendere in carico dai Servizi per l’impiego, con il curriculum in mano. Dai Servizi naturalmente pretendiamo l’erogazione dell’indennità di disoccupazione con effetto immediato. Il patto parla chiaro, qua la mano: appena mi telefoni per avviarmi a un corso di formazione o a fare un altro lavoro, mi prendo l’impegno di provare. Se poi le cose non vanno, ritorno al Servizio a fare un patto nuovo. Fino a quando non mi trovo bene o il datore non mi vuole trattenere. Liberi entrambi di sceglierci, di alzarci la mattina con la gioia di essere attivi, perchè ogni uomo deve avere un buon motivo per alzarsi la mattina, sentendosi produttivo di beni e non di dolori.

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