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Oggi, 26 maggio 2011, un gruppo di precari e precarie hanno fatto gentile visita all’Assofin, a Milano, in via Toti 4. Dopo aver esposto uno striscione e volantinato riscuotendo grande attenzione da coloro che uscivano dagli uffici, una piccola delegazione è entrata nella sede dell’associazione di categoria delle finanziarie per parlare con il suo responsabile e consegnarli una lettera da inoltrare ai direttori delle società finanziarie che fanno parte di Assofin. Dopo una prima reazione cordiale, il responsabile ha capito che non era per niente uno scherzo e ha cercato di liquidarci sostenendo di non essere abituato ad incontri senza appuntamento. Purtroppo per lui la precarietà non prende appuntamento: è tempo di sottrarsi al ricatto. Chi ci precarizza si fa dare i soldi dai soci di Assofin e non ci paga, ma noi dovremmo saldare i nostri debiti e consentire al circolo vizioso di sfruttarci due volte. E’ ora di dire basta.
Lo ribadiamo: per cambiare la situazione in cui viviamo non esistono scorciatoie, dobbiamo organizzarci in una massa critica capace di spingere le rivendicazioni necessarie a liberarci dalla precarietà. I pilastri su cui costruire questa proposta politica per noi sono da sempre la ramificazione sul territorio dei punti san precario, agenzie di conflitto e complicità fra gli atipici, la cospirazione precaria, il reddito, i diritti e la cittadinanza per tutti e tutte.
Precarietà: riconoscerla e combatterla
incontro pubblico presso la biblioteca di baggio via pistoia 10,
mercoledì 23 febbraio alle 20.30
In un contesto sempre più in crisi la precarietà non smette di condizionare le nostre vite diventando anzi più pervasiva e diffondendosi nei corpi come nei territori. Diventa quindi ancora più forte l’esigenza di combatterla, sul lavoro e fuori dal lavoro, con strumenti nuovi ed efficaci.
Con il carrello pieno di pasta, acqua e pannolini si sono avvicinati alle casse. «Fateci passare, dobbiamo dare da mangiare ai nostri figli». È la nuova protesta dei lavoratori del magazzino del Gs-Carrefour di Pieve Emanuele, che si sono presentati al supermarcato Carrefour di Assago, alle porte di Milano, per protestare contro il mancato pagamento degli arretrati. Un nuovo capitolo, insomma, per quella che i sindacati hanno definito “la Melfi del Nord”.
Avvicinato il direttore del supermercato, funzionari e delegati hanno trattato per avere un anticipo sotto forma di beni di prima necessita. Poi – dopo circa una mezz’ora all’interno – hanno lasciato i carrelli davanti alle casse e sono usciti dal supermercato consegnando volantini.
Da tre mesi i 60 magazzinieri di Pieve hanno la busta paga a zero ore e non vengono fatti rientrare a lavoro. Questo nonostante due sentenze del tribunale del lavoro che danno ragione ai lavoratori. Ieri un incontro in prefettura tra sindacati, Carrefour e consorzio Gemal – che gestisce l’appalto – si è risolto con un nulla di fatto. «La nostra proposta è di reintegrare tutti i lavoratori – ha detto Ettore Montagna (Filt-Cgil) – perché prima di tutto bisogna rispettare le sentenze. Poi si potrà discutere di cassa integrazione». E’ previsto anche l’invio di una lettera all’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi.
“In merito alla vertenza in atto nel deposito di Pieve Emanuele, Carrefour specifica ancora una volta che i 64 lavoratori coinvolti non sono, né sono mai stati, dipendenti della società”, fanno sapere dal gruppo francese della grande distribuzione. “Sono dunque improprie le esortazioni al rispetto della legge e delle istituzioni rivolte a Carrefour, che auspica una risoluzione in tempi brevissimi della vertenza in atto nel deposito di Pieve Emanuele tra la cooperativa Rm e i suoi lavoratori e si ponga fine a ogni comportamento contrario alla legalità”.
Tensione e assemblee. La protesta sospesa grazie alla mediazione del sindacato
I dipendenti del call center Omnia: resti qui e spieghi quando pagherete
MILANO — «Adesso basta! Questa volta lei resta qui con noi e ci spiega quando arriveranno gli stipendi arretrati». Parlare di sequestro di persona sarebbe troppo. Resta il fatto che ieri, al call center Omnia, periferia Nord di Milano, la tensione è rimasta alta tutto il pomeriggio. Intorno alle 14 i 400 dipendenti in turno hanno «convinto» il direttore del personale, Manuel Putto, a fare chiarezza riguardo il futuro dell’azienda: ormai da un anno gli stipendi vengono pagati a singhiozzo, in questo momento i mesi di ritardo sono due. «Purtroppo non avevo le risposte alle domande che mi venivano fatte», allarga le braccia Putto. Così l’assemblea permanente — il direttore del personale nel mezzo — è rimasta convocata a oltranza. In attesa di qualcuno che intervenisse a chiarire la situazione. Finalmente, alle sei del pomeriggio, è arrivato il presidente dell’azienda, Alessandro Gili. «Vi chiedo di continuare a lavorare. Solo così manterremo le commesse in corso. Al più presto sarà presentato un piano industriale. Da gennaio la situazione tornerà normale», ha detto in sostanza Gili.
Le ragazze e i ragazzi dai mille euro al mese (a tempo pieno) non l’hanno presa bene. «E’ una questione di dignità, il nostro lavoro va rispettato», alzava la voce dal fondo una signora con gli occhiali. «E il mio mutuo chi lo paga?», faceva eco un ragazzo. «Io faccio fatica persino a comprare i pannolini per i miei bambini», sussurrava un terzo, un po’ imbarazzato, al collega sindacalista. Alle otto di sera, grazie alla mediazione del sindacato, l’assemblea si è sciolta con una sorta di ultimatum all’impresa: «O domani mattina alle otto (oggi per chi legge, ndr; ) venite qui e ci assicurate il pagamento degli stipendi, o noi smettiamo di lavorare». «Chi è assunto a tempo pieno in Omnia guadagna tra 950 e 1.100 euro — racconta Guido Trefiletti della Cub, sindacato presente nel call center insieme con la Cgil —. Ormai c’è gente che trova difficile fare il pieno all’automobile per raggiungere il posto di lavoro». «La situazione è troppo tesa.
I dipendenti pretendono chiarezza e progetti chiari. Difficile dare loro torto, molti hanno famiglie da mantenere», si inserisce Paolo Puglisi, Slc Cgil, ancora pressato a tarda sera dai dubbi e dalle domande degli operatori del call center. Omnia service era un’azienda quotata in Borsa che, attraverso una serie di società, dava lavoro in Italia a oltre tremila persone. Di recente ha ceduto le controllate a VoiCity holding, partecipata al 70 per cento da un socio finanziario, la East investment, e al 30 per cento dai manager dell’azienda. Ieri mattina tra i banchi del call center è arrivata la notizia delle dimissioni di due dirigenti e la tensione è diventata ingestibile. Nella sede di via Breda, a Milano lavorano circa 800 persone. Le loro voci rispondono al telefono per conto di Wind, H3G, Mediaset. Altri call center del gruppo si trovano a Roma, Torino, Napoli, Bari.
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